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Solo la destra promuove il merito e non un cognome

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Come dire: ci voleva il Popolo della Libertà perché Berlinguer prendesse in mano il controllo di un importante canale informativo del servizio pubblico. Non è un colpo di stato comunista, è una promozione. Per far agitare le acque acidule del Pd, forse, e far sorridere i baffeti dalemiani, sicuro. Eppure. Sappiamo che Bianca, neanche troppo sommessamente, gode più della stima dei cosiddetti avversari che di tanti cosiddetti amici, basta sentire quello che ieri si sussurrava a Viale Mazzini nei pressi del Consiglio d'amministrazione, e sappiamo pure che questa storia del cognome nel corso degli anni, se sarà servito come buon lasciapassare per arrivare alla corte di Sandro Curzi (lo stesso, gran laziale e partigiano mite, che amava molto duettare con gli ex nemici condividendone le medesime categorie avventurose della politica), le sarà stato opposto chissà quante volte per dirle: sei troppo figlia di troppo papà, non sta bene non si fa. E invece altro che libertà di informazione minacciata, il centrodestra del cognome se n'è fregato e oggi Bianca Berlinguer guiderà il terzo telegiornale pubblico, palestra di buoni talenti, magari un po' da svecchiare e ammodernare nei toni e nei volti troppo smaccatamente convinti di essere cervelli indispensabili alla salvezza della democrazia italiana. C'è di più: da ieri, in Rai, il cognome non è più un problema, se l'individuo vale la promozione sta bene e si fa. Principio aureo che, per dire, dovrebbe valere la cancellazione di quella norma primitiva e autodenigratoria che vieta l'ingresso in Rai ai familiari dei dipendenti per non so quanti livelli di parentela. Siamo il paese più familista del mondo, le dinastie si alimentano di generazione in generazione, ogni scarafone è bello a mamma sua, e ci facciamo ancora prendere dai pruriti moralisti sui cognomi? Ma va là, forse è arrivato il momento di stanare il familismo clientelare agendo sulla leva della trasparenza e della valutazione professionale, e non della censura che crea ombre sotto il cui scudo, poi, si intrallazza alla grande. Questo principio aureo, il centrodestra dovrebbe d'ora in poi invocarlo anche per sé: se un ragazzo è bravo, anche se è figlio dell'onorevole ics o del senatore ipsilon, faccia la carriera che merita, senza guardare al cognome, anche se fa il giornalista, il lobbista, il politico o qualche altro lavoro «sensibile» al patronimico. Se anche la politica sfornerà qualche figlio d'arte, bè, non sarà un problema. Da ieri, a sinistra, di certo (o di nuovo) non lo è più.

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