Il Pd non difende neanche Napolitano
Ormai è un vero e proprio assedio. Antonio Di Pietro e l'Italia dei valori hanno «circondato» il Capo dello Stato e lanciano, praticamente indisturbati, i loro attacchi. Proprio qui sta la notizia. Gli unici a difendere il Presidente della Repubblica sono gli esponenti della maggioranza. Il Pd, troppo impegnato a discutere su chi ha effettivamente vinto i congressi locali, resta silente. E pensare che Giorgio Napolitano proviene proprio dalle loro file. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che il Capo dello Stato è maggiorenne e non ha bisogno di avvocati difensori, ma da chi si straccia le vesti per la Costituzione violata e va in piazza agitando lo spettro di una libertà d'informazione in grave pericolo, ci si aspetterebbe qualcosa di più. L'ultimo caso ieri. Il neoparlamentare europeo Idv Luigi De Magistris ha inviato una lettera al Quirinale - pubblicata interamente su Il Fatto - in cui spiega i motivi che lo inducono a lasciare la magistratura. A dire il vero lui stesso aveva annunciato che si sarebbe dimesso se fosse stato eletto, ma poco conta. Quello di De Magistris è uno sfogo amaro che ruota soprattutto attorno ad un concetto: ho sempre voluto fare il magistrato, ma appena mi sono trovato ad indagare sulla pubblica amministrazione sono diventato «scomodo» e hanno cercato in tutti i modi di fermarmi, per cui ho deciso di candidarmi alle europee. Il punto, però, è un altro. L'ex pm, e lo dice anche il titolo della sua lettera, lascia la toga anche «per colpa di Napolitano», che è pur sempre il presidente del Csm. «Perché - scrive rivolgendosi al Capo dello Stato - non è stato vicino ai servitori dello Stato che si sono imbattuti nel cancro della nostra democrazia, cioè nelle più terribili collusioni tra criminalità organizzata e poteri deviati? Non ho mai colto alcun segno da parte Sua in questa direzione, anzi. Eppure avevo sperato in Suo intervento, anche pubblico: ero ancora nella fase della mia ingenuità istituzionale. Mi illudevo nella neutralità, anzi nell'imparzialità dei pubblici poteri». Per concludere con un secco: «Signor Presidente, io credo che Lei in questa vicenda abbia sbagliato». In sintesi: nella guerra contro la criminalità organizzata il Quirinale, secondo De Magistris, non sarebbe stato neutrale. Non proprio un complimento. Tanto che il ministro Gianfranco Rotondi esorta l'Idv a cessare «il fuoco su Napolitano: non c'è partita democratica che si giochi contro l'arbitro». Il Pd, invece, tace. E tace anche quando Antonio Di Pietro, in piazza con coppola e sigaro «stile Cosa Nostra», torna a pressare il Capo dello Stato sullo scudo fiscale: «Fermi per tempo una norma che sancisce definitivamente l'aiuto di questo governo e di questo Parlamento alla criminalità». Il prossimo atto lo si può già immaginare. Se, come sembra, Napolitano firmerà il decreto, Tonino lo accuserà di essere un criminale (in fondo ha già parlato di «Parlamento mafioso»). La maggioranza insorgerà. E il Pd? Silenzio.