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I cittadini e le imprese italiane pagano i servizi bancari più degli altri europei.

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Eppure,quando si parla di banche, si assiste a singolari paradossi, ad autentici cortocircuiti politici. Il ministro dell'Economia, per dirne uno, s'è distinto, con indubbia forza polemica, contro il modo in cui sono amministrate le banche, al tempo stesso, però, con lo scudo fiscale, ha procurato loro il più interessante affare di questo dannato 2009. Non solo le banche incasseranno pingui commissioni per il rientro dei capitali, ma aumenteranno il volume dei depositi. Un bel colpo. Secondo paradosso: in Paesi con un mercato capitalistico ben sviluppato, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l'Olanda o la Germania, la crisi ha portato alla necessità di nazionalizzare delle banche, sovvertendo anni di predicazione e pratica liberiste, da noi, invece, non solo non sono state nazionalizzate, ma lo strumento degli aiuti statali, i così detti Tremonti-bond, è propagandato e sostenuto dal governo, per bocca del ministro che li ha battezzati, ma disdegnato dalle banche stesse. Nel mentre lo stesso governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ribadisce la necessità di rafforzare il capitale delle banche, come i bond si propongono. Basterebbero questi due elementi, e ce ne sono altri, per immaginare un'opposizione politica tutta protesa a parlare di banche ed a mettere in luce le contraddizioni e le debolezze dell'azione governativa, invece tutto tace e nessuno (o quasi) se ne occupa. Il che ci conduce al terzo paradosso: siamo l'unico Paese capitalista con i banchieri di sinistra. Che poi, in realtà, benché abbiano fatto la fila per partecipare alla farsa delle primarie, non sono di sinistra manco per niente, ma attentissimi ai propri interessi. Al sistema bancario italiano piace l'intreccio fra banche ed imprese e dispiace la concorrenza aperta, sicché gradisce la nostra sinistra conservatrice. Una sinistra che fu lungamente anticapitalista, per ideologia, ma che ora, morta la fede nella pianificazione solcialcomunista, s'è riciclata nell'avversione alla competizione, quindi nella protezione degli equilibri esistenti. Al punto da accogliere a braccia aperte i banchieri, che si sentono democratici nel votare il leader che la sinistra ha già scelto assai prima di aprire le urne finte. Le nostre banche sono state meno esposte alla crisi perché erano meno aperte al mercato. Le ha salvate l'arretratezza, non l'avvedutezza. Chi era più avanti, difatti, ha preso le sberle più forti. Il governo è intervenuto, quando la tempesta era più forte, sperando di assicurare la non interruzione del flusso di finanziamento al sistema produttivo, immaginando strumenti (come i prefetti) che subito definimmo impropri ed inefficaci. L'opposizione, però, non s'è buttata ad evidenziare il fallimento dello sforzo, bensì s'è messa al fianco delle banche, considerandolo ingiusto in sé. E la stessa opposizione che, quando era al governo, s'augurava al telefono d'avere già conquistato una propria banca, sembra più interessata a preservare il potere delle banche sul sistema produttivo, piuttosto che il controllo di mercato su quello creditizio. Al governo c'è chi, per il tramite dei bond, spera di mettere gli occhi, e forse anche le mani, sui bilanci bancari, scatenando la polemica contro i premi milionari a manager che gestiscono imprese che vanno male, mentre all'opposizione non sfugge un fiato né sull'iniquità dei costi né sull'opacità della presenza bancaria nella proprietà di aziende che alle stesse banche devono montagne di quattrini (un esempio: Telecom Italia). Ci sono aspetti dell'attività governativa che meritano d'essere letti criticamente, e lo abbiamo fatto. Ma c'è l'originalità di una sinistra che lascia al presidente di turno dell'Ecofin, il ministro svedese Anders Borg (esponente del Partito Moderato, con un passato nelle banche), il linguaggio crudo: «L'avidità è un fantasma molto difficile da intrappolare». Una sinistra che preferisce la finanza dei salotti alla difesa della produzione, dove si trovano, è bene ricordarlo, quei lavoratori a nome dei quali, un tempo, pretendeva di parlare.

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