Sotto le palandrane si celano terroristi, rapinatori e bulli

Burqa, niqab, jilbal sono tutti indumenti «orribili e insalubri» da vietare nei luoghi pubblici perchè «creano divisioni sociali e agevolano i terroristi e i criminali»: parola di Daniel Pipes, esperto di politica internazionale e antiterrorismo, figura di spicco tra i neocon Usa. Sono anni che nei suoi blog continua a tuonare contro il lassez faire dei paesi occidentali sulla faccenda. Ha perfino scoperto che le donne che indossano il velo (e i loro bambini allattati al seno) sono a rischio di rachitismo perché soffrono di carenza di vitamina D, che la pelle assorbe dalla luce solare. Lo studio scientifico è inglese come i tanti episodi di criminalità favorite dall'uso (strategico) del burqa e similari. Rapine a gioiellerie, agenzie di viaggio, assalti a blindati ecc. Ma la rapina non è l'unico motivo; i teenager londinesi sono soliti coprirsi il volto e indossare il niqab, quando accoltellano un ragazzo più giovane. Da Est a Ovest è un pullulare di borseggiatori con copricapi islamici. Negli Usa come reazione, le banche, le cooperative di credito, le gioiellerie e le scuole stanno limitando l'accesso alle persone con il capo coperto. ma il vero problema sono le azioni terroriste in burqa, spesso di tipo suicida, che fanno dell'Afghanistan l'attuale epicentro mondiale di questa tattica. Ma anche in Iraq non si scherza. Un ribelle travestito da donna incinta, un tentato omicidio di un governatore e due attentatori suicidi che hanno ucciso 22 pellegrini sciiti. E tra i perpetratori dell'attacco di Mumbai con circa 200 morti c'era una misteriosa «donna» in burqa. Il burqa è «un segno di avvilimento, non è il benvenuto sul territorio francese»: ha dichiarato recentemente il presidente Nicolas Sarkozy. E al Parlamento è stata depositata una proposta per vietare il burqa in Francia. Il burqa è un segno «di asservimento», ha aggiunto il capo dell'Eliseo. «Non è un problema religioso ma un problema di libertà. Il Parlamento si è fatto carico della questione, è la strada migliore. Bisogna che tutte le opinioni siano espresse». In Spagna ha fatto scalpore durante un processo al tribunale di Madrid contro una donna musulmana che si era rifiutata di testimoniare a viso scoperto ed era stata espulsa. Il processo riguarda una cellula islamica radicale; la donna, Fatima Hssisni, è sorella di un attentatore suicida morto in Iraq nel 2005. Alla fine si è arrivati a un compromesso. Ha sollevato il burqa che le copriva il viso, ma dando le spalle al pubblico.