Quella sinistra che vuole condannare Silvio alla solitudine

Si sarà svegliato con in testa il refrain di "Strangers in the night", in quella versione italiana cantata da Johnny Dorelli e tradotta in un eloquente "Solo più che mai". Poi quella battuta, a "Unomattina": «Grazie per la telefonata, mi sento meno solo». Ci può stare, alla fine di una conversazione basata su fatti e impegni. Un briciolo di blues interiore, una botta di malinconia da esorcizzare: accade a tutti nel giorno del compleanno, e peggio va quando non ne fai 37, ma il palindromo di quel numero. Eppure, ancora una volta, si è riaperta la diga delle polemiche, con il conduttore Rai accusato di servilismo, e il premier messo sulla graticola dalle sacerdotesse della satira, in attesa di nuovi exploit dei moralizzatori mediatici, che di ogni suo sospiro fanno uno scandalo. È dannatamente vero: Berlusconi è condannato alla solitudine. Non certo quella drammatica, abissale, degli anziani parcheggiati in qualche casa di riposo o in stanze dove non squilla mai il telefono. La sua è la condizione dell'idolo che si circonda di consiglieri e sodali, ma al quale viene negata l'umanissima consolazione di una qualunque forma light di convivialità. Succede, alle popstar. Michael Jackson teneva nella sua stanza da letto 17 manichini a grandezza naturale: gli facevano compagnia. Gli oppositori di Silvio - solo come ogni statista chiamato a decidere sulle sorti della gente - non gli perdonano la vitalità, anzi il vitalismo giovanilista. Ferocemente, battono da mesi sullo stesso tasto delle ragazze compiacenti, passando alla moviola gesti, parole, circostanze, sorrisi, imbarazzi: dimenticando gli exploit erotici di Stalin, Mao, o del più moderato Clinton. E invece, dovrebbero essergli grati: perché questa opaca miniatura della sinistra campa di rimbalzo sulla figura di Berlusconi, ridicolizzandone per default i risultati, figurarsi le sortite leggére. Senza di lui, o dopo di lui, finalmente dovrebbero porsi l'atavico e irrisolto quesito del "Che fare", mentre oggi non riescono neppure a chiedersi perché a nessuno freghi che il 29 settembre fosse pure il genetliaco di Bersani. Pier Luigi, mica Samuele il cantante. Il loro è un problema di igiene sociale, prima che politica: con una spietatezza che si riserva solo ai tiranni (non ai presidenti del Consiglio democraticamente eletti) lo vorrebbero morto, o quantomeno avviato all'oblio dello spirito, sull'orlo di un'ingestibile demenza senile, di un rincoglionimento a 360 gradi, incompatibile con il ruolo pubblico e certamente con la veglia dei sensi. Anche Goethe, Picasso, Chaplin amarono in età maturissima, ma nessuno li ricorda per quello. Quanto alla mente, Gorgia di Leontini filosofò fino a 107 anni. Oltre la soglia del secolo, Niemeyer progetta ancora architetture mirabolanti. Nell'epoca in cui nessuno può più essere definito vecchio, e in cui scienza e società invitano alla gagliardia anche gli ottuagenari, Berlusconi viene demolito, cellula per cellula, a 73 anni. La stessa età in cui Carlo Azeglio Ciampi, amatissimo a sinistra, approdò a Palazzo Chigi, sei anni prima del suo insediamento al Quirinale.