Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Pd sull'orlo di una crisi di nervi

Dario Franceschini

  • a
  • a
  • a

Ieri la domanda su a che cosa serva avere ancora Dario Franceschini a capo del partito l'ha posta, in maniera diretta, efficace, ma forse poco garbata, anche il coordinatore nazionale della mozione Bersani, Filippo Penati. Il quale ha spiegato che «fino alle primarie Franceschini di fatto non è più il segretario perché non ha ottenuto il consenso da parte di due terzi del partito che sta gestendo». Non si tratta di una richiesta di dimissioni, ha aggiunto subdolo Penati, ma di una «riflessione che Dario dovrebbe fare». Insomma fino alle primarie si faccia da parte perché il partito non si riconosce più in lui. Parole che hanno scatenato il finimondo dentro il Partito Democratico, avvelenando ancora di più un clima già abbastanza mefitico. L'attuale segretario, sdegnato, subito dopo pranzo ha riunito i suoi e ha minacciato di non riunire più la segreteria del partito, allargata a Bersani e Marino, già convocata per oggi. E rivoli di veleni son continuati a scorrere tra le due «fazioni» fino a quando Pierluigi Bersani e Massimo D'Alema sono stati costretti a intervenire per chiudere l'incidente e rimettere insieme i cocci di un partito che sta per frantumarsi. Il primo ha rassicurato il suo avversario: «Sgombriamo il campo da ogni equivoco più o meno interessato. Franceschini, come è ovvio e come è giusto, è a pieno titolo il segretario del Pd così come prevede lo statuto, e ha la nostra piena collaborazione come è stato fin qui». Parole condivise da Massimo D'Alema: «La dichiarazione di Bersani ha chiarito tutto, spero che si metta così fine a una discussione che non ha ragione di essere. Nessuno mette in discussione il ruolo della responsabilità del segretario Franceschini che resterà in carica fino alle primarie, in una fase che bisogna gestire con il massimo della serenità». A quel punto Franceschini, a denti stretti, ha accettato l'offerta di tregua: «Classifichiamo la cosa come uno scivolone e chiudiamola lì». «Però — ha aggiunto — in un momento così difficile, nel Paese e in Parlamento, serve più senso di responsabilità». Scontri, veleni che fanno venire in superficie il nervosismo e la tensione con i quali il partito Democratico sta vivendo la sfida per le primarie. E soprattutto la paura che inizia ad attanagliare Bersani i suoi. Fino a poche settimane fa, infatti, l'ex ministro era relativamente sicuro di vincere la volata finale per diventare segretario. Ora, invece, i risultati dei congressi cittadini iniziano a preoccuparlo. Sia perché era sicuro di arrivare ben oltre il 60 per cento e invece si è fermato a poco sopra il 50, sia perché alcune regioni nelle quali pensava di vincere gli hanno voltato le spalle. Per questo, nei giorni scorsi, i coordinatori della sua mozione sono stati impegnatissimi a «inondare» le agenzie di stampa con i risultati dei congressi cittadini dove Bersani aveva vinto. E per questo ieri «Il Riformista», quotidiano sul quale si stende la lunga mano di Massimo D'Alema, ha titolato con un minaccioso «Bersani stravince a Nord e Sud, Dario si dimette l'11 ottobre?». Ipotesi alla quale ha poi dato voce ufficiale Filippo Penati. Scatenando un putiferio.

Dai blog