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«Non rispondono più alle esigenze dei cittadini»

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Oggii «suoi» Liberaldemocratici sono ufficialmente guidati da Daniela Melchiorre ma Lamberto Dini, senatore del Pdl e presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama, non ha certo rinnegato le idee che, nel 2007, lo portarono a non aderire al Pd per fondare quello che, a quel tempo, sembrava solo l'ennesima sigla nel panorama politico italiano. Una sigla che, con i risultati delle elezioni politiche in Germania, ha riacquistato forza. Senatore, la Germania sancisce ufficialmente la crisi del socialismo europeo e rilancia i liberali? «A me sembra che cominci ad emergere, in maniera piuttosto netta, una situazione di disaffezione nei riguardi del Partito socialista europeo e della sinistra in generale. Un trend iniziato in Italia nel 2008. E che continua altrove. In Portogallo, ad esempio, i Socialisti restano primo partito, ma perdono la maggioranza e saranno costretti a fare un governo di coalizione». Quali sono le ragioni di questa disaffezione? «Si tratta di un malessere profondo. Le idee che porta la sinistra non vengono più accettate come soluzioni efficaci ai problemi. Nonostante gli eccessi della globalizzazione, gran parte dei cittadini, oggi, chiede più libertà. Non è un caso che in Germania si sia decretato il fallimento della Grande Coalizione, mentre hanno vinto i liberaldemocratici che meglio rispondono alle esigenze della società». Gli stessi che lei fondò nel 2007? «Quando decisi di non entrare nel Pd lo feci perché ero arrivato al convincimento che non c'era posto per le idee liberaldemocratiche». E nel centrodestra va meglio? «Lo spazio c'è, anche se in questo primo anno non ci sono stati significativi progressi nel campo delle liberalizzazioni». Darebbe qualche consiglio al Pd per evitare che venga travolto da questa crisi? «Se guardo alla sinistra italiana, intendendo sia quella cosiddetta radicale che il Pd, mi pare che manchi un'identità, una proposta. Questo può rendere più facile il lavoro del governo anche se io penso che una proposta che viene dalla socialdemocrazia sia sempre utile. Invece il Pd sembra più interessato ad attaccare il presidente del Consiglio, più impegnato con il congresso e la distribuzione della cariche. E non cercano idee forti per recuperare consensi». Tra Franceschini e Bersani chi è più in grado di evitare la catastrofe? «È difficile a dirlo anche se mi sembra che l'anima diessina sia fortemente maggioritaria». Perciò il Pd è destinato a naufragare come il resto dei socialisti europei? «No, se saprà ripensare la propria linea politica e dare un nuovo programma al Pd. Ma per ora non mi sembra che non ce ne sia traccia». Quindi ha ragione Rutelli quando dice che era meglio non allearsi con il Pse e che, comunque, è impossibile rifondare il socialismo europeo? «Rutelli è coerente con ciò che ha sempre pensato. Io non credo che il socialismo sia finito anche se, ovviamente, è suscettibile di essere minoritario. In Italia, dopo la guerra, lo è sempre stato».

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