Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Cittadinanza, la svolta di Milano Fini: ridurre i tempi per gli stranieri

Gianfranco Fini saluta una ragazza musulmana alla festa della Libertà a Milano

  • a
  • a
  • a

MILANO - Il colpo era stato riservato alla fine. È proprio nel finale del dibattito alla festa del Pdl che a Gianfranco Fini viene chiesto di fare un commento sulla proposta di modifica del diritto di cittadinanza. L'iniziativa, voluta dal deputato finiano Granata assieme a Sarubbi del Pd, prevede che la cittadinanza si conceda sulla base dello ius soli ovvero sulla base del territorio sul quale si nasce, e non più in base alla cittadinanza dei genitori. Dunque, il colpo arriva proprio alla fine. E il presidente della Camera prova ad affrontarla in modo zuccheroso: «Di chi è l'Italia?», scrutando la platea. «Degli italiani, è ovvio». Poi aggiunge parafrasando Sarkozy: «Di tutti coloro che amano l'Italia». Ma tra le poltroncine bianche del gazebone allestito al Lido di Milano serpeggia qualche brusìo. Lui tira dritto: «In Italia ci sono già quattro milioni di stranieri». Il vociare si fa più forte. Fini non si ferma. Seduto nella poltrona sul palco nel suo completo grigio scuro, camicia bianca e cravatta blu, il presidente della Camera va avanti. Alza la mano come se volesse stoppare quelle proteste di sottofondo. «Oggi avere la cittadinanza è soltanto un adempimento burocratico - insiste Fini -. Occorrono dieci anni, che poi diventano dodici. Invece dovrebbe essere necessario parlare la lingua, conoscere la storia, sapere che Trieste è più a nord di Palermo». E poi nel suo crescendo aggiunge un elemento che non c'è nella proposta Granata e quasi ne stravolge il senso: «Giurare fedeltà alla Costituzione». A cui più avanti metterà anche un «servire la Patria con le armi». Comunque, Fini continua. Non demorde: «Dobbiamo ridurre da dieci a cinque anni la soglia? Non va bene? Vogliamo fare sette? L'importante è che si discuta. Discutiamone». Parte un timido applauso. Il Pdl è nato. Sì, forse è esagerato considerarlo un parto. Ma, insomma, il partito vive. Si muove. Batte. Su temi concreti, sulle idee. In fin dei conti se questo era l'intento di Fini può anche vederlo come un successo. È in minoranza, questo è chiaro. La platea resta al più fredda, qualcuno alza la voce, qualcun altro si spinge a una gentile contestazione. Lui tira dritto, impone la discussione interna. Rivendica: «È motivo di eresia pensare - domanda alla platea - che chi non nasce in Italia, magari dopo aver frequentato un intero ciclo scolastico nel nostro Paese, diventi cittadino italiano prima della maggiore età?». Una signora bionda nel pubblico non ci sta e gli rinfaccia: «Sì, lo è». Altri le danno ragione. Il presidente della Camera unisce indice e pollice, sbatte nell'aria la mano e scandisce le parole alzando il tono: «Signora, però quando vede un immigrato che indossa la maglia della Nazionale, che onora quella maglia, che canta l'inno nazionale lei si commuove o no?». Scatta il battimani più fragoroso. L'ex leader di An coglie l'attimo: «Ho forse perso la testa? Sono diventato di sinistra - insiste - a pensare che non solo chi nasce in Italia può diventare cittadino prima di 18 anni?». «Del tema della cittadinanza - continua - attendo di discutere, non accetto scomuniche preventive dagli organi di giornale e continuerò a porre la questione finché non mi si opporranno motivazioni valide, e certo non può esserlo dire che non ne avevamo parlato prima o che non era nel programma». Il microfono passa a Giulio Tremonti, il superministro dell'Economia, l'altro in pole position come candidato alla successione di Berlusconi. E Tremonti parte soft: «Ho sempre pensato e da ultimo ancora di più che le posizioni dell'onorevole Fini sui temi dell'immigrazione siano generose e coraggiose». Chiarisce che si tratta di «temi su cui si deve discutere, debbono essere oggetto di una discussione pubblica». Poi però affonda: «Se il problema ha una intensità elevata, significa che serve del tempo e a volte una cosa giusta fatta nel tempo sbagliato può diventare una cosa sbagliata». Ricordando le parole di Fini sull'esperienza degli emigranti italiani del passato, Tremonti ha sottolineato che «l'Italia ha una storia diversa, non ha avuto un passato coloniale come la Spagna e non ha perso una generazione in guerra come la Germania». Per questo, sottolinea il ministro dell'Economia, «mancando grandi città industriali che facciano da valvola di sfogo, a noi fin'ora è andata bene, ma credo che dobbiamo guardare di più a quello che sta succedendo in questi paesi». In particolare, Tremonti ha indicato l'Olanda dove «si sta perdendo l'identità nazionale». Un problema, a suo avviso, condiviso anche da grandi città del Nord Europa, dove la maggioranza non è più quella storica e dove non c'è ancora una identità europea». Per questo, Tremonti ha invitato alla cautela affermando di avere «l'idea che gli alberi crescano dal basso verso l'alto e i frutti si raccolgono solo quando sono sui rami». Il gazebone del quale si sta svolgendo il dibattito si gonfia di applausi. La tavola rotonda successiva Quagliariello dice seccamente che di abbassare il limite per ottenere la cittadinanza non se ne parla proprio, Cicchitto attacca Granata accusandolo di prestare il fianco agli attacchi della Lega. Resta Italo Bocchino a difenderlo. Non è molto. Non è nulla. E oggi arriva Berlusconi.

Dai blog