C'è solo una sinistra di carta

{{IMG_SX}}Se a un qualsiasi cittadino dovessero chiedere quali sono gli oppositori più fermi di Berlusconi saremmo certi delle risposte. L’ordine potrà essere diverso ma in testa alla lista ci troveremmo Santoro, Travaglio, Repubblica, col suo direttore Ezio Mauro, e Di Pietro. Franceschini, Bersani, D’Alema sarebbero dietro, tanto dietro. Perché, questa è l’anomalia italiana. In prima fila ci sono loro, poi viene il Pd, che insegue, rilancia. Difficilmente propone. Quasi mai è protagonista. Il paradosso è che la seconda manifestazione contro il governo (la prima fu organizzata da Veltroni) non la fa il partito che, pur in minoranza, ha ottenuto milioni di voti, la faranno i giornalisti di sinistra lamentando un fantasioso attacco alla libertà d'informazione. E il Pd si accoda per non essere tagliato fuori. Si parla tanto di anomalia italiana. Ma non è questa la principale? Esclusiva del nostro Paese. Ma niente avviene per caso. C'è una ragione storica e una che fa parte dell'attualità politica a giustificare tutto questo. Cominciamo con quella storica. Dal dopoguerra c'erano due grandi partiti. Uno, la Dc, condannato a governare, e uno il Pci condannato all'opposizione. Così sarebbe rimasto chissà fino a quando se non fosse crollato, alla fine degli anni '80, l'impero comunista. Occhetto, allora segretario del Pci, pensò di cambiare nome e forse futuro al suo partito. Ma, non bastò, così cercò di entrare nella casa socialista. Con grande diffidenza anche perché il socialismo in Italia era Bettino Craxi. E i comunisti, nonostante i ripensamenti attuali di D'Alema, non l'amavano di certo. L'ex Pci, poi Pds sarebbe stato condannato a confluire nel Psi oppure all'opposizione se non fosse intervenuta la bufera di Mani Pulite che spazzò via quella che era allora la maggioranza. Gli ex comunisti videro la possibilità di governare grazie a un consistente aiuto esterno. Questo il peccato d'origine di un partito che entra nel vivo della politica italiana, più per i meriti altrui che per i propri. La storia si ripete oggi. A dar fastidio al premier non è l'opposizione parlamentare, non è l'organizzazione della protesta (che non c'è) è la grande stampa. Oppure i gruppi forti e organizzati all'interno della Rai che gridano, che si lamentano, che denunciano censure ma che in effetti solo li a contestare il premier e il governo. Forse è uno dei pochi casi al mondo in cui gli attacchi più forti a chi governa arrivano proprio dalla Tv pubblica. E nel coro un posto in prima fila ce l'ha la carta stampata. Con Repubblica e il suo gruppo editoriale. Sono loro le pubblicazioni delle registrazioni di una escort che vuole ridicolizzare il premier. Sono loro che, attraverso domande perfide cercano di demolire il premier. E quando Berlusconi querela, come avrebbe fatto qualunque cittadino, gridano allo scandalo e chiamano la sinistra i piazza. Il fatto, ed è l'attualità politica, è che il Pd dopo la fusione a freddo è ancora alle prese con la difficile costruzione di un vero partito. Non ha iniziativa. Va al rimorchio. Ma non su una opposizione politica, solo sulla demolizione del premier. Quell'antiberlusconismo che suscita la reazione polemica di D'Alema. Prima di lui era stato Vendola a denunciare questo limite. Ma lui non può essere ascoltato, se non per spiegare cosa facevano i suoi assessori in Puglia. Baffino parla di subalternità della sinistra, chiede di analizzare e di capire le ragioni della destra. Fa semplicemente un discorso politico di chi vede il limite in un'azione puntata soltanto contro un uomo. Ma la presa di posizione viene considerata un sostegno alla tesi di Berlusconi che, prima di partire per gli Usa, aveva parlato di un'opposizione antiitaliana. D'Alema gli dà di fatto ragione. Anche se qualche ora dopo vuole precisare, denunciare un uso furbesco delle sue parole. Forse per lui può essere troppo rischioso condividere una affermazione del Cavaliere pur se nel corso della presentazione di un libro dello storico Biagio De Giovanni che nel titolo ha una denuncia precisa: dove si è persa la sinistra? Potremmo suggerire la risposta, parafrasando Brunetta si è persa seguendo la «sinistra per male». Quella radical chic dei salotti. Quella dei grandi editori. Quella parte del Paese ben lontana da quello che era il popolo degli elettori di sinistra. E allora le tappe, i temi di discussione non sono dettati dai vertici del Pd, ma dal giornale di De Benedetti. L'altra sera a Ballarò, Crozza ironizzava sul partito democratico e sul segretario che per il comico non sarebbero Bersani o Franceschini, ma Mauro, direttore di Repubblica. Battuta, tragicamente vera. Magari, aggiungiamno noi, come vicesegretari ci mettiamno Santoro e Travaglio. Con la supervisione di Di Pietro.