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L'oro degli ex voto nella cripta di San Pio

Mosaico

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«Questi mosaici sono una lezione magistrale di teologia». Così si è espresso papa Benedetto XVI il 21 giugno scorso visitando e benedicendo lo straordinario ciclo di mosaici che ricopre interamente la rampa e la cripta della nuova chiesa di San Padre Pio a San Giovanni Rotondo. La chiesa, ideata dall'archistar Renzo Piano, è un complesso monumentale articolato. Il sagrato con gli ulivi di Puglia e l'acqua a simboleggiare il Giordano, il battesimo. Le aree dell'incontro e della preghiera. Le volte e le vetrate, una cittadella del sacro per il frate con le stimmate, pensata - se verranno superate le numerose resistenze della popolazione locale - per accogliere definitivamente l'urna col corpo glorificato di san Pio da Pietrelcina. La chiesa inferiore, nella sua struttura, aveva però un non so che di freddo e opaco. Geniale è stata quindi l'idea di affidare ad un celebrato maestro, il gesuita sloveno Marko Ivan Rupnik, il progetto di ridare vita al cemento e di farlo rifiorire coprendolo di milioni di tessere colorate di argilla. Il risultato è sorprendente. Ottanta metri di rampa e una delle cripte più capienti del mondo ricoperte interamente di mosaici. Ciò che era impermeabile allo spirito è diventato un capolavoro dell'arte musiva contemporanea. La materia si è come trasfigurata, è diventata uno scrigno, una grandinata suggestiva di immagini, un tabernacolo. Siamo di fronte a quella che potremmo definire la «Cappella Sistina del Gargano». «È un pezzo di cielo» pare abbia esclamato papa Ratzinger. Sì, «è un pezzo di cielo», è l'impressione di chi scrive. E la stessa emozione la proveranno i devoti dell'umile fraticello stigmatizzato venuti, in ben sei milioni, nell'ultimo anno della esposizione del corpo del santo. Esposizione o ostensione che si concluderà oggi. In questa intervista, padre Rupnik, ideatore dei mosaici, spiega le ragioni di un'opera che ha impegnato, per oltre un anno, 15 persone di diverse nazioni del Centro Aletti di Roma. Un laboratorio stupefacente di creatività e di passione. Che ne sapeva, lei, maestro Rupnik, di san Pio da Pietrelcina? «Sono venuto spesso a San Giovanni Rotondo e, dopo l'affidamento dell'incarico da parte dei Frati Minori Cappuccini, ho studiato per mesi le fonti francescane, gli epistolari di Padre Pio, la pittura dei santi secondo gli stilemi romanico, gotico, bizantino. L'arte liturgica non è un'arte per se stessa, è un'arte che ha una missione precisa. In questo caso doveva parlare a milioni di pellegrini, di devoti di san Pio». E così si è inventato negli ottanta metri della rampa, grandi riquadri dedicati alla vita di san Francesco e di san Pio. Quasi a confronto e in dialogo. «Sì. Il pellegrino quando arriva in un santuario vuole arrivare il più presto possibile alla tomba del santo che si vuole venerare per chiedere intercessioni o grazie, o per pregare e ringraziare. La fretta nasconde un sottile inganno spirituale. Arrivare fisicamente vicino al santo può suscitare emozioni momentanee ma non incide nella vita. Da qui la necessità di un percorso propedeutico. Occorre entrare in comunione spirituale coi santi per capire che siamo chiamati a trasformarci. Con loro noi già abbiamo attraversato il muro della morte e siamo messi in comunione con la vita di Dio». Bello. Ma non so come la gente giudicherà la cripta. È interamente coperta d'oro. Argilla rivestita d'oro. «Si tratta dell'oro degli ex-voto, circa dieci chili, che sono stati trasformati in sottilissime lamelle. Il colpo d'occhio è emozionante. Nella cripta c'è il Cristo della gloria e il Cristo della storia. Fra i due si estende il manto della santità di Dio. L'oro è il simbolo della santità di Dio che si estende sul mondo. Cosa vede san Pio nella gloria di Dio? Un santo non può che essere immerso in questa luce. La cripta è il tentativo di raffigurare il luogo di chi vive nella santità di Dio». Diciamo che è una sorta di Paradiso. Quello che lei ha voluto raccontare, attraverso la materia, è che in Dio vivremo in una luce spirituale intensissima. Lei pensa che Padre Pio, vissuto sempre in povertà francescana, sarebbe stato felice di essere trasportato qui? «Guardi, ho trovato una frase di Padre Pio del 1915 illuminante: "Confidate e sperate nei meriti di Gesù e così anche l'umile argilla diverrà oro finissimo da risplendere nella reggia del re dei cieli". È quasi il commento alla mia opera e all'opera dei miei collaboratori. L'amore per l'uomo non è competitivo con l'amore di Dio. Se a Dio si dà, si riceve. Per questo, in ogni secolo, magari fra un mare desolato di casupole, si sono erette cattedrali. La gente viveva in povertà o miseria ma voleva la casa di Dio splendida. Entrando in chiesa la gente voleva avere una anticipazione di paradiso. È l'emozione che trasmette questa cripta». L'arte del mosaico è bidimensionale. Non ci dà nè prospettiva nè profondità. «È vero. Ci dà però la presenza. Tutta la materia si concentra nel volto, nei volti. Come il bambino che cerca, prima di tutto, il volto della madre. Della persona che ama di più. Un'arte vera, l'arte liturgica, deve suscitare non solo ammirazione, anche devozione. Ci spinge sui sentieri della bellezza, quindi della verità e della bontà».

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