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Le parole sbagliate del Senatur

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«Ho votato anche io, ma eravamo convinti che servisse a qualcosa non certo a farli morire». Queste le parole pronunciate ieri dal ministro Bossi all'ingresso della basilica di S. Paolo, pochi minuti prima dell'inizio dei funerali. Sono parole piene di umanità, piene anche di quel senso di angoscia che un governante non può eliminare di fronte alle dolorose conseguenze delle scelte che ha compiuto. Sono parole di un leader politico che ha conosciuto da vicino la sofferenza, la malattia, probabilmente anche il timore concreto e palpabile della morte. Sono parole dunque degne, che ci permettono di ristabilire un rapporto vero tra la politica e la gente, un rapporto che non va mai dimenticato. Al tempo stesso però sono parole sbagliate ed intempestive, poiché finiscono per imporre nell'agenda italiana ed internazionale il tema del ritiro, un tema che va graniticamente evitato in questo momento per tre serissimi motivi. Il primo è che oggi dobbiamo rispettare il sacrificio di sei vite umane, che abbiamo perso combattendo la battaglia della pace e della libertà. Non possiamo dire a quelle vedove, ai quei genitori, a quei figli d'Italia che non sappiamo perché stiamo in Afghanistan. Non possiamo dire loro, per bocca di un ministro, che la cosa giusta da fare è venire via il più presto possibile.   Non possiamo farlo perché in questo modo stiamo dicendo loro che sono morti per una causa che non c'è, per una Patria che si scopre all'improvviso pavida ed incerta. Il secondo motivo è che questo modo di ragionare è intollerabile su scala internazionale, soprattutto in un momento nel quale molte critiche piovono sul capo del governo dai media di mezzo mondo. A Washington come a Bruxelles (sede della Nato) le parole del leader del secondo partito della maggioranza di governo suonano come campana a morto per la presenza militare italiana, un lusso che non ci possiamo permettere, né ora né più avanti, se non in piena concertazione con gli alleati. Il terzo motivo riguarda la sicurezza del nostro contingente ed il suo morale.   Ogni tentennamento a Roma galvanizza i nostri nemici, ogni dubbio in patria rende più fragili i nostri soldati quando escono di pattuglia la mattina. I militari sanno benissimo che le guerre moderne si vincono più con la politica che con le armi. E proprio per questo debbono operare con il pieno sostegno delle istituzioni e del Parlamento. Ogni deviazione da questo schema diventa, di fatto, un aiuto poderoso alle strategie dei Talebani. La ragion politica non può abbandonare le ragioni del cuore, ma neppure può farsi guidare da esse. Pena lo sprofondare nella «politichetta» del giorno per giorno, quella buona per un battuta ai microfoni od un comizio a tarda ora nelle valli bergamasche. Governare, purtroppo, è tutta un'altra cosa.

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