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Landolfi: "Quella lettera è stata un errore"

Mario Landolfi

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«Penso che la tregua siglata oggi durante il pranzo tra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini, era nell'ordine delle cose imposto dai rispettivi ruoli istituzionali delle reciproche convenienze politiche. Berlusconi e Fini hanno usato il buonsenso e naturalmente hanno trovato la quadra. Ora aspettiamo che dalle parole si passi ai fatti. Per questo servirà un po' di tempo». Onorevole Landolfi, crede che quella tanto discussa lettera a sostegno di Fini sottoscritta dai suoi colleghi alla Camera abbia contribuito a evidenziare alcuni problemi all'interno del Pdl? «Quella lettera è stata politicamente sbagliata e per questo non l'ho firmata. Non è piaciuto il metodo. A marzo abbiamo fatto il congresso del Pdl, decidendo, con l'eccezione di Mirko Tremaglia e di Roberto Menia, che da An e Fi dovessimo dare vita a un nuovo partito. La lettera è un ritorno al passato. Una sorta di seduta spiritica dove si rievoca un partito che non c'è più. Chi infatti l'ha firmata ha di nuovo innalzato uno steccato tra i due vecchi partiti. Quello che poi non ho capito è perché se quelle firme dovevano essere di solidarietà, non si è proceduto a raccoglierle anche al Senato». Crede che quella lettera sia stata sollecitata da Fini?  «Questo non lo so. Ma non credo. È nata tutta all'interno del subgruppo del Pdl e, purtroppo, contraddice il percorso annunciato al congresso proprio da Fini che in questi mesi ha puntato tutto sulla contaminazione delle idee per dare vita ad una nuova identità del centrodestra. Se avesse agito diversamente sarebbe stato incoerente con quanto disse sempre al congresso: "Se avessi voluto fare il leader di una corrente all'interno del Pdl non avrei sciolto An"». Le richieste di Fini a Berlusconi sono quindi legittime? «Si. Legittime e assolutamente coerenti con quanto affermò al congresso: "So che su alcune posizioni sono in minoranza, ma rivendico la possibilità di discuterne all'interno del Pdl". Quindi occorre un maggior dibattito interno ma è anche chiaro che nel merito ognuno è libero di assumere le proprie posizioni». Fini ha poi sollevato il problema Lega. Crede che Berlusconi debba dimostrare meno sudditanza a Bossi? «Il problema è un altro. Fino a quando il Pdl non si radicherà sul territorio è logico che il Carroccio farà la parte del leone. Io, per esempio, ho proposto l'elezione dei coordinatori regionali e la realizzazione di un organismo in grado di funzionare come una Camera del territorio. Ora, quindi, o cambiamo rotta o continueranno a nascere partiti del Sud o partiti del Veneto perché in assenza di una mediazione politica le istanze localistiche finiscono per prevalere sulla visione complessiva e generale». Questa però è una battaglia sul territorio, ma a Roma, è vero che la Lega detta la linea? «La Lega tenta di dettare la linea perché è forte nel territorio. Per questo dobbiamo impegnarci a costruire un vero partito perché il nostro è l'unico che si possa fregiare dell'aggettivo "nazionale": la Lega prende i voti al Nord, il Pd al centro, noi invece in tutta Italia». Se dovesse chiedere un impegno per il futuro a Fini? «Gli chiederei di non cedere alla tentazione del recinto ma di proseguire sulla contaminazione delle idee per creare un partito pensante che diventi un centro di gravità permanente».

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