Il bimbo, il tricolore e quel il grido "Folgore"
Un sudario tricolore, grande quanto il cielo di Roma. Steso dalla Pattuglia acrobatica sopra la Basilica di San Paolo dove i sei paracadutisti uccisi a Kabul hanno ricevuto la benedizione cristiana e l'omaggio dello Stato. L'abbraccio dell'Italia ai suoi martiri: Antonio, Roberto, Matteo, Giandomenico, Massimiliano e Davide. Solo il nome nelle parole dell'ordinario militare monsignor Pelvi a significare una vicinanza e un affetto grande come la basilica piena di una folla commossa. Un'altra giornata di dolore. Un altro bambino che fa commuovere tutta l'Italia, dal capo dello Stato al premier Berlusconi in prima fila davanti alle bare con tutte le più alte cariche dello Stato. Martin 7 anni, figlio del tenente Antonio Fortunato, non riesce a stare fermo. Quando le bare entrano nella basilica, prima ancora che comincino le esequie, Martin si è alzato dalla sedia alla sinistra dell'altare dove erano stati sistemati alcuni dei familiari delle sei vittime. E passando davanti alle più alte cariche dello stato si è diretto verso la bara del papà, al centro delle sei schierate sotto l'altare. Una carezza prima alla foto del papà e poi alla bandiera italiana, uno sguardo al basco amaranto appoggiato sul cuscino rosso e poi di nuovo di corsa tra le braccia della mamma. Martin vuole indossare il basco di papà come ha fatto il giorno prima Simone il bimbo di 2 anni del sergente Roberto Valente anche lui morto in quell'attacco vigliacco nel cuore di Kabul. Verso la fine Martin si è avvicinato a Gianfranco Paglia, parà medaglia d'oro al valor militare per le ferite riportate nel 1993 in Somalia e oggi deputato Pdl. Martin lo conosce bene quell'uomo sulla sedia a rotelle, è un amico del suo papà. Gli è accanto e piange quando Paglia legge la «preghiera del paracadutista». Commossa la medaglia d'oro dopo essersi interotto più volte, riesce a sintetizzare i sentimenti di tutti nei confronti dei sei militari morti con «Grazie ragazzi». Semplicemente. Senza fronzoli così come vivono questi giovani paracadutisti. Il silenzio pieno di dolore viene più volte interrotto dal grido «Folgore!» urlato più volte e sempre più forte. Il motto dei baschi amaranto riempie le navate, il chiostro, il piazzale di San Paolo fuori le mura. Paracadutisti in servizio, tantissimi in congedo arrivati da tutta Italia. Ci sono anche i quattro soldati rimasti feriti nello stesso attentato. Il maresciallo dell'Aeronautica Felice Calandriello e caporalmaggiori della Folgore, Rocco Leo, Sergio Agostinelli e Ferdinando Buono. Con il braccio al collo e i cerotti in volto sono lì accanto alle famiglie dei loro commilitoni uccisi. Una vita «vissuta la servizio della pace», ha detto monsignor Pelvi, parlando del mondo militare che contribuisce «alla cultura della solidarietà» e della necessità che laddove lo Stato non sa proteggere la propria gente da violazioni gravi e continue dei diritti umani e dalle conseguenze delle crisi umanitarie, la comunità internazionale è chiamata ad intervenire esplorando fino in fondo la via diplomatica e incoraggiando anche i più flebili segni di democrazia». tanta gente inlacrime. Giovani, donne, veterani di un aguerra del secolo scorso. Tutti piangono gli eori ma chiedono anche di lasciare l'Afghanistan al suo destino: «Troppi morti. Troppe giovani vite spezzate». Presnti anche i familiari di altri caduti in Afghanistan e Iraq come i parenti del maresciallo degli Alpini Polsinelli, morto coem questi parà a Kabul. «Pensavo di essere l'ultima orfana di guerra - sussura una signora - Mio padre è stato ucciso il 24 aprile del '45... E invece questo bambino crescerà anche lui senza il papà morto soldato». Poco lontano gli studenti del Liceo scientifico Keplero di Roma. E ancora, quelli del liceo di Pedemonte Matese giunti qui con la professoressa di italiano e latino: «questa di oggi è una lezione di vita. Di rispetto e di appartenenza a una Patria». Una scolaresca dell'Istituto di suore San Paolo: ogni bambino tiene stretta una bandiera. Come la mamma di Giandomenico Pistonami tiene abbracciata la foto del figlio e il padre ha voluto indossare la giacca della divisa del figlio. Dolore composto quello di queste famiglie fiere del sacrificio dei loro cari. Dolore spezzato da quell'uomo che raggiunge il microfono e urla «Pace subito. Rimadateli a casa». Antonio C. viene subito braccato e portato via ma in fondo ha ripetuto quello che anche esponenti del governo in questi giorni hanno dichiarato. In spregio al sacrificio di questi ragazzi chiuse tra quattro assi avvolti nel tricolore.