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Bossi continua a silurare il governo

Umberto Bossi durante i funerali solenni dei sei paracadutisti della Folgore uccisi a Kabul

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È il giorno del dolore, delle lacrime strozzate in gola, del silenzio. Gianfranco Fini lascia la basilica di San Paolo con gli occhi lucidi e scansa gentilmente il giornalista che, microfono alla mano, vorrebbe un suo commento. Anche Silvio Berlusconi si tiene lontano da telecamere e taccuini. Umberto Bossi no. Il leader della Lega arriva accompagnato dal vicepresidente del Senato Rosi Mauro e, prima di entrare in Chiesa, esprime con una battuta tutta l'amarezza per ciò che è accaduto: «Li abbiamo mandati noi e sono tornati morti». Poi fa il suo ingresso nella navata centrale. I capigruppo del Carroccio di Camera e Senato Roberto Cota e Federico Bricolo gli vanno incontro e lo accompagnano al suo posto. Stringe vigorosamente la mano a Pier Ferdinando Casini che siede dietro di lui. Saluta Franco Marini e Marcello Pera. Arriva Roberto Calderoli che occupa immediatamente il posto accanto al Senatur. I due parlano per un po' quindi seguono con partecipazione la celebrazione. Quando, al termine della funzione, le bare lasciano la basilica, Bossi esce dal retro e si ferma nuovamente a parlare con i giornalisti. Le sue parole sono meno dure di qualche giorno fa. Si percepisce la volontà di rispettare il dolore dei presenti, di non calcare troppo la mano. Ma il contenuto non cambia.   «Anch'io ho votato la missione - esordisce - eravamo convinti che servisse, non certo a farli morire. Molti sono convinti diversamente rispetto al passato. Deve passare un po' di tempo». Quindi, a chi gli chiede se a questo punto si possa pensare ad una modifica della missione o a un ritiro dei militari risponde: «Ci sono le piccole e le grandi cose. Sarebbe un passettino portarne a casa a Natale almeno un po'. È un augurio, una speranza. Certo, c'è un problema americano, internazionale, bisogna quindi chiedere a Berlusconi che è l'uomo che si trova tra noi e gli Stati Uniti. Le cose stanno migliorando». Poco più in là, sul piazzale laterale della basilica, l'ultimo saluto ai caduti. I carri funebri partono alla volta delle città di origine dei sei militari della Folgore. L'ultimo a salire in macchina è il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Il volto visibilmente provato, sembra quasi costretto ad interrompere un silenzio che si era autoimposto. «Non è stata una manifestazione preordinata o retorica - spiega -, ma di affetto vero dell'Italia. Un grande momento di comunione. La cosa che mi è sembrata evidente in questa manifestazione è come sia ormai dentro il sentire comune di tutti gli italiani questa vicinanza ai nostri ragazzi con le stellette; la consapevolezza che fanno ogni giorno qualcosa non solo per ricostruire, ma per la nostra libertà, per tenere lontani i pericoli della guerra e del terrorismo da casa nostra». E incalzato ribadisce: «La missione non cambia». Il ministro non cita Bossi. Più tardi, intervistato da Telenova, dirà che «gli amici della Lega, anche nel Consiglio dei ministri, hanno sostenuto la nostra azione». Non è certo questo il giorno delle polemiche.

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