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Uno della gente vera, normale, un altro lontano e sprezzante, dell'intellighenzia perbenista, chic e illuminata.

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Lorohanno raccontato le ragioni della loro commozione di fronte a quelle sei fotografie in cornice, hanno detto di essere lì per rendere omaggio a quei ragazzi che si sono sacrificati per tutti noi. E questo, lo ammetto, mi ha commosso profondamente. Perché quelle persone hanno capito tutto. Quelle persone erano idealmente le mamme, le mogli e i figli di chi ho visto tante volte in Iraq, in Afghanistan o in Libano. Avevano le stesse facce, la stessa lingua, lo stesso mondo. Chi invece di quel mondo vero, reale, sa poco (e capisce ancora meno) siamo noi che scriviamo, i politici che fanno proclami insulsi, gli intellettuali saccenti che pontificano. Tra la gente in fila al sacrario e i ragazzi dentro i lince invece c'e' identità, vicinanza, familiarità. Sono le storie intrecciate di vite normali in cui si sceglie di fare il soldato non solo per i soldi ma anche perché quello stipendio lo si guadagna rischiando la vita con un ideale in mente. Per tutta la giornata di ieri ho guardato i volti delle donne, tante, in fila. Ho cercato di immaginare perché ognuna di loro fosse lì, avesse deciso di andare fin lì un sabato di settembre a testimoniare il suo dolore, e mi è venuta in mente una lettera che tempo fa ho ricevuto da una moglie di un soldato che oggi è ancora in Afghanistan. E' stata una delle lettere più dure, orgogliose e commoventi che ho letto in tutta la mia vita. In quelle righe di qualche mese fa c'era l'orgoglio, la paura e la determinazione che solo una donna può riuscire ad avere. Nelle parole di quella persona c'era tutta la forza che serve per tenere insieme la dimensione ideale, i valori e il fatto di essere comunque una donna che pensa con dolcezza al proprio uomo lontano. Credo di non sbagliare a condividere oggi con voi le sue parole che mi si sono rimaste stampate dentro, quando mi ha scritto: "Sono una delle tante donne che ogni mattina si sveglia e ascolta il telegiornale mentre si connette con le agenzie stampa per sentire se è successo qualcosa. Immancabilmente, ho un sottile senso di colpa per aver dormito comoda mentre mio marito è in una tenda in mezzo alla polvere o in pattuglia sotto gli spari, o alla guida di una colonna che per fare 200 Km. ci mette 4 giorni; 96 ore di veglia, di notti oscure, di nemici in agguato. Ma il paternalismo del "riportiamoli a casa" indigna anche me, mi indigna come italiana(…)E a mio marito più di una volta ho detto che piuttosto che far tornare lui avrei preferito essere in Afghanistan insieme a lui". Lei probabilmente stamattina sta aspettando l'arrivo delle bare sapendo che solo il destino ha deciso che lì dentro non c'e' suo marito. E guarda ognuna di quelle bandiere sapendo che quella è la fine di un'altra storia esattamente come la sua. Ma so, anche senza averle parlato, che nemmeno in questo momento ha detto al suo uomo "basta, voglio che torni", e lui è ancora là con gli scarponi nella sabbia in Afghanistan. Allora, anche per lei, forse oggi dobbiamo commuoverci, se ci va. Poi però lasciare che scenda il silenzio.

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