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Lodo Alfano, prova di imparzialità

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Angelino Alfano

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Quindici uomini. O meglio quattordici uomini e una donna. Quasi come quelli che, nella canzone dei pirati dell'Isola del tesoro di Stevenson, stanno comodamente seduti sulla «cassa del morto». Stavolta, però, la cassa non c'è. Men che meno la «bottiglia di rum». Potrebbe esserci il «defunto». O almeno così spera il centrosinistra che, da mesi, sta appassionatamente tifando affinché la Corte Costituzionale decida di togliere di mezzo il tanto odiato Lodo Alfano che prevede la sospensione dei processi per le quattro più alte cariche dello Stato. La sentenza di legittimità dovrebbe arrivare il 6 ottobre e nel frattempo l'opposizione continua a lanciare appelli chiedendo alla Corte di non lasciarsi condizionare. Fosse semplice. Già, perché i 15 «uomini» della Consulta, ancor prima di essere dei giudici integerrimi, sono persone. Con tutti i loro limiti e, perché no, le loro simpatie politiche. E non è escluso che queste possano avere un peso sul giudizio finale. Difficile dimenticare, ad esempio, che l'attuale presidente della Corte è Francesco Amirante colui che scrisse il testo della sentenza che nel 2004 bocciò il «padre» del Lodo Alfano, il cosiddetto Lodo Schifani. Chi lo conosce gli accredita simpatie per il centrosinistra anche perché, fanno notare, Giovanni Maria Flick, già ministro della Giustizia nel primo governo Prodi e suo predecessore sulla poltrona più alta della Consulta, lo volle come vicepresidente. Non è un caso quindi che oggi, sulla poltrona di numero due di Amirante, sieda Ugo De Siero, professore ordinario di diritto costituzionale, eletto dal Parlamento nel 2002 su proposta del centrosinistra. Ci sono poi Paolo Maddalena che vanta nel suo curriculum un'esperienza da capo di gabinetto dell'allora ministro dell'Istruzione Enzo Bianco (1991-1992); Gaetano Silvestri, anche lui eletto dal Parlamento su proposta del centrosinistra; Sabino Cassese, già ministro della Funzione pubblica nel governo di Carlo Azeglio Ciampi che poi, da presidente delle Repubblica, lo ha nominato alla Consulta; Alessando Criscuolo che, pur essendo difficilmente inquadrabile, è stato presidente dell'Anm e, provenendo dalla Cassazione, sarebbe in piena sintonia con Amirante. Chiudono l'elenco Paolo Grossi, arrivato alla Consulta in sostituzione di Flick, e Franco Gallo, già ministro delle Finanze nel governo Ciampi. I maligni raccontano che, quando i Ds lasciarono la compagine di governo polemizzando perché il Parlamento non aveva concesso l'autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi, scelsero lui come figura «tecnica» per sostituire Vincenzo Visco. Insomma, insinuazioni a parte, nell'attuale composizione della Corte sarebbero ben 8 i giudici con simpatie tutt'altro che berlusconiane. Sul fronte opposto ci sono sicuramente Luigi Mazzella (già ministro della funzione pubblica nel secondo governo del Cavaliere) e Paolo Maria Napolitano recentemente finiti sotto accusa per un cena con il premier, il Guardasigilli Angelino Alfano, il sottosegretario Gianni Letta e i presidenti delle commissioni Affari costituzionali della Camera Donato Bruno e del Senato Carlo Vizzini. E con loro l'ex avvocato del premier e di Cesare Previti (ma anche di Adriano Sofri) Giuseppe Frigo, Alfonso Quaranta, Alfio Finocchiaro e Maria Rita Saulle. Totale 6. Più difficile da inquadrare Giuseppe Tesauro che Luciano Violante e Nicola Mancino vollero garante della concorrenza e del mercato, ma che in molti descrivono come «assolutamente indipendente». Dovessero prevalere le simpatie politiche, quindi, difficilmente il lodo Alfano riuscirà a superare lo scoglio della Consulta. Ma qualcuno fa notare che la maggioranza, nel redarre la legge, ha seguito fedelmente la sentenza scritta da Amirante cinque anni fa.

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