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«Partirei subito per proseguire il lavoro dei miei commilitoni»

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Nonha dubbi questa ragazza di 19 anni appena uscita dalla caserma «Gamerrà di Pisa, sede del Capar, il centro di addestramento dei paracadutisti della Folgore. Il giorno dopo il terribile attentato di Kabul vige la consegna del silenzio e lei accetta di parlare solo in cambio dell'anonimato. «C'è un'aria pesante in caserma - ammette - ma vogliamo e dobbiamo andare avanti». Lei è appoggiata sul muretto esterno della caserma, aspetta il taxi. Ha lo zaino pronto, va a casa per il week end. E casa è in un posto imprecisato della Toscana. «Non dico la provenienza - spiega - perchè siamo poche (una decina, ndr) e sarei riconosciuta. Ci hanno ordinato di non rilasciare interviste». Gli occhiali scuri schermano gli occhi, quasi a proteggere il velo di tristezza che c'è dopo la morte dei sei commilitoni. «La Folgore è come una famiglia - dice - e a Kabul sono morti nostri fratelli». Lei non li conosceva personalmente ma il senso di perdita èugualmente grande. «Però conosco il fratello di Matteo Mureddu - racconta - perchè anche lui è un paracadutista della Folgore in servizio qui a Pisa. E tutti gli siamo vicini». La situazione afghana è tesa. Kabul è insicura, così come molte altre regioni martoriate del mondo dove spesso si trovano a operare i parà. «Non siamo dei Rambo - afferma questa ragazza tanto minuta quanto determinata - ma abbiamo fatto una scelta consapevole. Io mi sono arruolata meno di anno fa e ho coronato il sogno di una vita. Partirei domani stesso. E non per rabbia o vendetta, semmai per proseguire il lavoro degli altri.

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