(...)discussione politica fondata sui pettegolezzi d'alcova e condizionata da inaccettabile manovre di potere, un po' levantine si converrà.
E,come in altre occasioni, ci ha trovati psicologicamente impreparati, come se avessimo rimosso il nostro ruolo nel mondo, la nostra presenza nei teatri di guerra dove si combatte anche per la nostra sopravvivenza. Kabul, comprendiamo oggi davanti a quei sei soldati italiani dilaniati, è più vicina di quanto si possa immaginare. E stridono le immagini di quella tragedia che si consuma nel cuore dell'Asia con la pochezza della politica casereccia, con i titoli dei giornali che leggiamo, con le cronache che la televisione ci propina. Sembra una Disneyland sgangherata l'Italia, avvolta dai miasmi che provengono dai bassifondi di una società senz'anima, a fronte di movimenti tellurici che tengono in apprensione l'umanità scossa da contraddizioni di ogni genere. Come si fa ad impegnare risorse, energie, intelligenze nel maneggiare materiali ignobili da lanciare nella lotta politica, mentre nei due terzi del Pianeta s'affollano problemi giganteschi che attengono anche alla nostra vita futura e non riusciamo a vederli soltanto perché impegnati nell'infangare questo o quello? Cosa comprendiamo del mondo che ci sta attorno asserragliandoci dietro pregiudizi che dovrebbero modificare lo stato delle cose reiterandoli all'infinito, al punto di farli diventare verità inoppugnabili? Qual è la malattia che corrode una nazione invertebrata fino a renderla dimentica della propria dignità nel consorzio delle altre nazioni civili? Sono domande che dovremmo porci non soltanto mentre a Kabul si uccide. Ma anche quando apprendiamo che una giovane marocchina, integrata nel nostro Paese come e più di tanti italiani, che amava vivere con noi e voleva essere una di noi, viene sgozzata da un padre-padrone, macellaio dell'anima in nome e per conto di un tabù che nulla ha a che fare con la religione. E dovremmo inorridire nell'ascoltare le parole della madre della diciottenne, ritratta splendida e sorridente sui giornali, che giustifica il criminale atto del marito e danna in perpetuo la figlia che voleva soltanto vivere. Davanti a tanto scempio ha ancora un senso parlare di escort, di puttane, di letti e politica su cui costruiamo non soltanto teoremi giornalisti, ma anche scenari istituzionali? Sanaa fa parte del nostro universo come ne fanno parte i soldati caduti. Nessuno, però, si era accorto che le loro storie, come molte altre edificanti o di ordinario disagio, segnano la vita nascosta di un'Italia morente che non si rende conto della precarietà di chi aspira a un'esistenza normale e non riesce ad averla, di chi vorrebbe un po' d'ordine nelle città abbandonate ed è costretto a scontrarsi con l'ignavia di amministratori corrotti, di chi ambirebbe a veder rispettate le essenziali regole del buon vivere, ma s'imbatte costantemente nella violenza di opinionisti che danno le pagelle esclusivamente allo scopo di delegittimare e distruggere reputazioni. Kabul e Sanaa ci fanno ritornare nella storia. Forse solo per pochi attimi. La forza delle tragedie, come insegnavano i greci antichi, sta nel riconquistare l'umanità perduta. Purtroppo per noi immersi nella comicità volgare di un tempo sfigurato. Gennaro Malgieri