La Russa: "Per Natale rientreranno in 500"
«Natale può essere la data per il rientro dei 400, 500 uomini che sono stati inviati in Afghanistan per il periodo delle elezioni o per gli uomini della Folgore. Ma il tempo del ritiro va deciso insieme agli organismi internazionali. Non si può fissare una data, forse si può individuare un momento: quando gli afghani avranno la capacità di contrastare da soli il terrorismo». È sera quando, ai microfoni del Tg1, Ignazio La Russa prova a mettere la parola fine alle discussioni sul possibile ritiro delle nostre truppe da Kabul. È stata una giornata lunga e particolarmente dura per il ministro della Difesa che in mattinata, quando le notizie dall'Afghanistan erano ancora frammentarie ha deciso di annullare tutti gli appuntamenti della giornata (confermato solo l'incontro con il nuovo ambasciatore americano David H. Thorne) e di recarsi immediatamente al Senato per riferire su ciò che è accaduto. Ed è lì che, dopo aver confermato il tragico bilancio dell'attentato (6 vittime e 4 feriti che «non sembrano essere in pericolo di vita»), con voce ferma, avverte: «Agli infami e vigliacchi aggressori che hanno colpito in maniera subdola va la nostra ferma convinzione che non ci fermeremo. Questa missione continuerà». Parole ribadite qualche ora più tardi anche alla Camera dove assicura che a Kabul non c'è «una strategia contro gli italiani ma dei tentativi di impedire alle forze afghane e a quelle internazionali di estendere il controllo del territorio da parte del legittimo governo afghano». Per questo «l'intento del governo è quello di essere solidali con gli organismi internazionali, che non si faranno intimidire dalla recrudescenza della violenza. Questo è il momento del cordoglio e dell'unità. Poi avremo il tempo e lo spazio per approfondire il significato della missione e discutere del modo di essere più vicini ai nostri soldati». Insomma il governo non abbandonerà l'Afghanistan (La Russa definisce «incomprensibili» le dichiarazioni di Umberto Bossi) anche se forse è il momento di mettere a punto una nuova strategia. «Non dobbiamo parlare di exit-strategy - spiega il ministro degli Esteri Franco Frattini - ma di transition-strategy, ovvero cosa fare per conquistare i cuori degli afghani. Dobbiamo restare per dimostrare che l'orgoglio dell'Italia è sempre alto. La democrazia ha cominciato a mettere radici nel Paese. Restiamo convinti che il processo di stabilizzazione dell'Afghanistan, oltre alla sicurezza, debba necessariamente passare attraverso una soluzione politica e interventi concreti e tangibili». E un primo passo per cambiare strategia potrebbe essere la conferenza internazionale che dovrebbe svolgersi a Kabul entro al fine dell'anno. Un'idea che l'Italia aveva lanciato, tra i primi, ad agosto e attorno a cui sta crescendo il consenso della comunità internazionale.