E Bersani non trova di meglio che attaccare il governo: «Sono in confusione»
Ieri,dopo l'attentato a Kabul, è il leader della Lega Umberto Bossi a chiedere di tornare a casa «per Natale», scavalcando a sinistra il Pd che invoca una riflessione internazionale sulla missione ma non ne chiede la fine. E, mentre la sinistra torna in piazza per il ritiro, ad occupare il suo spazio in Parlamento è l'Italia dei Valori, che si scopre radicale dopo aver sempre difeso la presenza di militari all'estero. Già dalla prima mattina, mentre fioccano commenti di cordoglio e dolore dall'opposizione e dalla maggioranza, si intuisce che il fronte dell'exit strategy è quanto mai composito. C'è il presidente della commissione Esteri della Camera Stefano Stefani (Lega), seguito più tardi e con toni più soft dal ministro Roberto Calderoli, il leader Idv Antonio Di Pietro, e qualche scheggia isolata nel Pdl, come Giancarlo Lehner, durissimo con il ministro Ignazio La Russa: «La nostra non è più da tempo una missione umanitaria e di pace, ma solo un'ingiustificabile e stolido ingaggio suicidario». Il segretario della Destra Francesco Storace usa toni analoghi a quelli del segretario Prc Paolo Ferrero, chiedendo di rivedere le regole di ingaggio perché la missione non si trasformi «in un cimitero tricolore». A fermarsi davanti al lutto, rinviando a dopo ogni tipo di riflessione, si ritrovano il Pd e il leader di Sinistra e Libertà Nichi Vendola. L'ex ministro Arturo Parisi sostiene che «dopo saranno molte le cose su cui discutere» ma non si spinge oltre. E in un vertice — che dopo mesi riunisce tutti i big, da Franceschini a Bersani, da D'Alema a Rutelli — tutti i Democratici concordano che non vada chiesto il ritiro, ma che il governo si faccia promotore in sede internazionale di una conferenza di pace che apra una riflessione sulla presenza in Afghanistan. Il problema, sottolinea Pier Luigi Bersani a fine giornata, è che il governo è in confusione: «Dalle parole di La Russa in Parlamento, quelle di Bossi e quelle di Berlusconi emerge una posizione assolutamente contraddittoria. In un momento così difficile il governo non è in grado di offrire un riferimento certo e una posizione univoca». Antonio Di Pietro, invece, ha cambiato radicalemnte posizione rispetto a quando era nel governo Prodi. Ieri, infatti, ha chiesto di lasciare l'Afghanistan ma a novembre del 2006 era molto più cauto: «Abbiamo preso un impegno con la comunità internazionale. E tutti gli impegni devono essere definiti e concordati con la comunità internazionale, perché ci sono persone le cui vite dipendono da noi».