Zittiti dai kapò: taci o fai una brutta fine
«Non andare all'ospedale e non fare denuncia altrimenti fai una brutta fine». Prima li picchiavano, poi gli intimavano di non ricorrere alle cure mediche, pur necessarie, perché i sanitari avrebbero capito che le ferite non erano accidentali ma procurate. Non solo botte ma anche minacce nell'ex scuola «8 Marzo» alla Magliana. Tentativi di ridurre al silenzio gli immigrati intimiditi dal kapò che si concede anche lo sberleffo, dopo aver colpito al volto un immigrato con una mazza di ferro: «questo è perché hai denunciato l'occupazione». C'era un clima di terrore nell'edificio in via dell'Impruneta occupato due anni fa, dove lunedì mattina all'alba hanno fatto irruzione un centinaio di carabinieri che hanno arrestato cinque persone - i feroci manager dell'occupazione - accusati a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata all'occupazione abusiva, estorsione, lesioni gravi e furto. Non è stato un tentativo di sgombero fallito. Ma la prima operazione in Italia richiesta dall'autorità giudiziaria, per contrastare le illegalità all'interno degli edifici occupati, compiute ai danni di immigrati e senza tetto. Il comandante provinciale dei carabinieri, generale Vittorio Tomasone, lunedì aveva dichiarato che si era trattato di «un'operazione di polizia giudiziaria» per «eseguire provvedimenti restrittivi e perquisizioni disposte dalla Procura di Roma». Oggi ribadiamo che quest'operazione è la prima che tutela i soggetti più deboli all'interno delle occupazioni: gli extracomunitari che nell'ex scuola «8 Marzo» avevano trovato un tetto sulla testa, sebbene dietro il pagamento di una cifra mensile, dai 15 ai 150 euro per una stanza con bagno in comune, somma richiesta ufficialmente come contributo spese. Ma si doveva accettare anche il rispetto di regole ferree, compreso l'obbligo di partecipare a manifestazioni politiche. E quando l'obbedienza non c'era più cominciavano le ritorsioni, «e tu qui a dormire non ci torni più» come ha testimoniato per primo al quotidiano Il Tempo un immigrato. Prendere o lasciare, insomma. «È emerso che gli indagati si avvalgono di modalita coercitive tali da forzare la controparte alla decisione obbligata di pagare il denaro richiesto non essendo lasciata alcuna ragionevole alternativa tra il soggiacere alle altrui pretese o il subire il giudizio paventato» scrive il gip Cecilia Demma, che ha firmate le ordinanze di custodia cautelare richieste dal pm Santina Lionetti. Un immigrato - quello che poi in seguito ha subito una pesante aggressione e che ora vive blindato - viene informato che avevano deciso di cacciarlo dalla scuola perché non aveva rispettato le regole. «In realtà era accaduto che era moroso nei pagamenti ed aveva comunicato» anche che «non intendeva ancora partecipare alle manifestazioni pubbliche per paura, in quanto era stato più volte controllato dalle forze dell'ordine» scrive il giudice nell'ordinanza. L'immigrato viene cacciato senza nemmeno restituirgli le sue cose. Si rivolge ai carabinieri della stazione Villa Bonelli, che avviano subito le indagini a dicembre 2008. Ma l'attività investigativa dei militari diviene subito bersaglio di un «tentativo di screditamento attraverso pubblicazioni su internet» e di «minare l'attendibilità dei soggetti che hanno avuto il coraggio di denunciare i fatti». Ma le violenze sono state verificate. E per il gip assumo anche il carattere di «spedizioni punitive». Per il giudice «è di tutta evidenza il tentativo di intimidazione posto in essere ai danni delle vittime e delle persone informate sui fatti, allo scopo di impedire che possano denunciare i soprusi e le illegalità compiute dagli indagati». «Emblematico» è per il gip l'episodio riferito da un immigrato: quando la moglie si reca dai carabinieri, tre degli indagati fanno pressioni per ottenere informazioni sul motivo per cui sua moglie fosse stata interrogata dai carabinieri, e puntano a indicargli il difensore con il quale presentarsi dai carabinieri, «individuando lo stesso in quello che già difendeva gli interessi degli occupanti, così come era già stato imposto ad un'altra immigrata».