L'integrazione resta un'utopia per le donne musulmane
L'integrazione tra persone di razza, cultura e religione diverse è un obiettivo facile da raggiungere se c'è la volontà di farlo: basta frequentare una scuola qualunque dello Stivale e osservare come si comportano e si relazionano i bambini stranieri (quelli nati qui ma non solo loro) con gli amichetti di classe italiani. Se non fosse per i tratti somatici che li qualificano come cinesi, marocchini, cingalesi ecc. nulla li differenzia dagli altri. Parlano con la stessa cadenza dialettale, indossano scarpe delle Winx o dei Gormiti, sognano di fare da grandi le veline e i calciatori. Gli ostacoli a questi processi d'integrazione, quando ci sono, nascono dentro quelle famiglie di immigrati strutturate e irrigidite da pregiudizi culturali e religiosi dove, chi si ribella entra in conflitto o ne viene espulso. Mariti e padri-padroni contro mogli e figlie, fratelli maggiori contro sorelle minori ecc. L'anello più debole restano le donne, che siano mogli, figlie o sorelle. Destinate a una situazione di sudditanza, straniere in terra straniera, condannate alla separazione fisica e culturale. In un contesto del genere il burqa diventa il simbolo di una segregazione coatta, dell'isolamento. Basta indossarne uno e farci un giretto dentro per rendersene conto. Uno scafandro-sudario soffocante che ti impedisce la visione laterale come i paraocchi dei muli. Non c'è giustificazione culturale (o religiosa) che tenga, non ci sono «scappatoie» neanche per altre pratiche barbare come la mutilazione dei genitali femminili. L'omicidio di Sanaa Dafani, la diciottenne di origine marocchina accoltellata martedì sera dal padre El Katawi Dafani, 45 anni, in un boschetto di Montereale Valcellina (Pordenone) è maturato in una «situazione» familiare del genere. Sanaa era bella, vestiva all'occidentale era piena di amici e con tanta voglia di integrarsi. Era arrivata in Italia nel 2003 insieme alla famiglia e qui aveva frequentato le scuole medie. Martedì si trovava in macchina con il fidanzato italiano Massimo Di Biasio di 31 anni. Il padre li ha aggrediti a colpi di coltello. Entrambi feriti sono scesi dalla vettura dandosi alla fuga. Ma Dafani, accecato dall'ira, ha rincorso la figlia e le ha squarciato la gola. L'ha quasi decapitata. L'uomo non approvava la relazione: troppo giovane sua figlia, troppo anziano lui, 31 anni. Ma l'ipotesi più probabile è: lei musulmana non poteva convivere con un italiano cattolico. Dicono che il padre arrestato dai Carabinieri, ora è tranquillo: ha lavato l'onta con il sangue. S'ipotizza il reato di omicidio premeditato. C'è un testimone che lo incastra. La madre della giovane invece piange, sottomessa.