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Lo show del Cavaliere da Vespa

Silvio Berlusconi a

Il Pd esulta: battuto dalla fiction

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{{IMG_SX}}ROMA - «Finalmente una buona notizia», sospira Berlusconi quando Vespa gli dice della doppietta di Inzaghi. Si giubila. Alla vigilia, qualche maligno aveva pensato: «Vedrai che Silvio ordina a Galliani di ritirare il Milan, come quell'altra volta a Marsiglia. Così recupera altre fette di audience». Del resto, nel clima surreale in cui è nato lo speciale di "Porta a porta", nessuna insinuazione è stata risparmiata. L'avesse fatto davvero, il Cavaliere avrebbe avuto sin dall'inizio due o tre telespettatori in più: quei Franceschini, D'Alema e Casini che annunciavano pubblicamente il diritto di gustarsi la partita in tv, snobbando Raiuno. Alla fine il leader dell'Udc non resisteva e telefonava in diretta, dopo la riflessione del premier sui postdemocristiani che «dovrebbero allearsi con noi anche in Italia, e non per calcolo. Finora non c'è stato nessun dialogo. La loro è la politica dei due forni». L'altro non se ne dava per inteso: «Clientele? Niente alleanze Udc-Pdl». Silvio, tetro: «Auguri». Quanto a Baffino, «è un vecchio stalinista, al Pd serve un cambio generazionale». In una serata in cui il Cavaliere lanciava messaggi concilianti a Fini ed escludeva elezioni anticipate («Arriverò alla fine del mio mandato. Bossi carezza le orecchie dei suoi, ma è un alleato affidabilissimo»), Forte Teulada pareva sotto assedio, anche se non si capiva chi tentasse di arrampicarsi fino ai merli, e chi buttasse l'olio bollente. Italianamente, un pasticcio sui palinsesti Rai si era ormai trasformato in un «attentato alla libertà di informazione», anzi alla democrazia tout court. E per il premier e Vespa non deve essere stato semplice parlarsi - liberamente, appunto - con tutti quegli occhi puntati addosso, e con qualcuno che avrebbe voluto - meno liberamente - imporre il tono e i temi della conversazione, pena la denuncia di un colpo di Stato per via mediatica. Triste e grottesco che - comunque si valuti l'operato del governo - siano stati usati dall'opposizione termini come "comparse" per i terremotati, o "boia" per un giornalista chiamato come da tradizione, alla ripresa della stagione politica, ad ospitare il presidente del Consiglio. Il segno che si fosse perso il senso delle proporzioni era stata la mini-barricata dell'Italia dei Valori davanti a Forte Teulada, per impedire al premier di prendersi la responsabilità di annunciare lo stato dell'arte nella zona colpita dal sisma: le case completate in queste ore, quelle che lo saranno a fine settembre. A quei trentacinquemila sfollati che - come dichiarato in tv da Berlusconi - saranno consegnate le chiavi di un'abitazione «entro la fine dell'anno» certe date interessavano certo più che uno scontro frontale tra partiti attorno alle macerie della Rai, non quelle dell'Abruzzo. Occasioni per contestare il premier non mancheranno: a partire domani da "Ballarò". Di certo, l'asilo di Onna è stato realizzato davvero a tempo record, su progetto della giovane Giulia Carnevale scomparsa nel crollo del suo palazzo. Il padre, in studio, ricordava che «bisogna dimenticare le cose brutte, e pensare al futuro». Non pareva una comparsa. Impegni, Berlusconi ne ha presi: «tutti via dalle tendopoli entro settembre», «trenta miliardi per la ricostruzione dell'Aquila», e senza «introdurre nuove tasse». Ma la scritta sul megascreen di "Porta a porta" alludeva scopertamente ai tanti temi sul tappeto: "L'Aquila e tutto il resto". Dopo la prima pubblicità, quel "resto" incendiava le polveri. Berlusconi, fino a quel momento votato a un quasi immalinconito understatement, rialzava il volume del conflitto politico, azzardando termini come «delinquenziale» per l'atteggiamento di quella «Internazionale di sinistra» che avanza «l'accusa infondata e comica» che nel nostro Paese ci sia «un pericolo per la libertà di stampa». O quando sparava a palle incatenate contro i troppi «farabutti nella politica, nell'informazione e nella tv». Citava proprio "Ballarò", "Annozero" più "Report", come trasmissioni Rai «contro di me, che con il canone vengo indicato come il simbolo del male»: non è un editto, ma neppure un calumet della pace. Ce n'era per quelli di "Repubblica", e Vespa lo stoppava, «perché chi non è presente in trasmissione non può rispondere». I festini? «Tutte infamie, spazzatura». Il motore dialettico del premier rallentava per ragionare su Fini: «È una situazione che è stata evocata dal presidente della Camera. Io non ho problemi riguardo al funzionamento del Pdl. Ci sono due concezioni diverse in campo». Spiegazione: «Vedo nei partiti dei movimenti che devono essere presenti sul territorio e organizzarsi nei momenti elettorali».   Mentre «per chi è professionista della politica come Fini, deve svolgere funzioni più allargate». Si vedrà: magari davanti a un «caminetto informale» con i coordinatori delle anime del Pdl, dopo aver parlato con la Lega. Per ora, siamo al livello dei «fraintendimenti superabilissimi» con Gianfranco. C'era tempo per una sfida all'ok Corral tra Vespa e Piero Sansonetti: di fronte all'«incidente» di "Ballarò" l'anchorman sbottava: «Quando fui epurato nel '94 e tu lavoravi all'Unità", mi difendesti? E ora tutto questo gigantesco casino per uno slittamento di due giorni? E che cavolo!». Floris voleva intervenire in diretta: lo richiamavano, ma aveva il cellulare spento. Faceva poi sapere: «La mia è una trasmissione libera, non è contro nessuno». Ma anche in una serata tv plumbea come il cielo d'autunno, al premier non poteva mancare un guizzo da entertainer: Vespa dava cordialmente sulla voce a Berlusconi mentre questi leggeva il messaggio dell'arcivescovo dell'Aquila: «Non mi interrompa, sono un dittatore!», gli rispondeva l'altro bloccandolo per un braccio. «E lo vedo!», replicava Superbruno. Grande sketch: andrà forte su internet.

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