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Altre accuse all'«8 Marzo» «Coi soldi del racket si pagavano lo stipendio»

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Èun altro sospetto che si aggiunge al castello accusatorio della Procura di Roma contro i sei indagati per il presunto racket nell'ex scuola romana «8 Marzo», avvolta dagli striscioni del centro sociale Macchia Rossa. Secondo le ipotesi dell'accusa, a sborsare erano soprattutto gli occupanti stranieri (sono il 70% dei circa settanta presenti nell'ex scuola). «Le condizioni per poter alloggiare in una stanza dell'edificio - scrive il giudice Demma nelle quindici pagine dell'ordinanza - consistevano nella corresponsione di 15 euro al mese, divenuti 150 a partire dal 30 settembre 2008». Il motivo dell'"affitto" erano «le spese vive», «formalmente giustificato - prosegue il Gip - dalla necessità di provvedere al pagamento dell'acqua e dell'energia». Addirittura chi era in ritardo con le bollette rischiava lo "sfratto" coatto. Vero? Le utenze erano a carico degli occupanti? Da un sopralluogo del 2 gennaio sembra di no. «L'Acea - è spiegato nell'ordinanza - ha constato l'allaccio diretto alla rete elettrica, senza contabilizzazione della energia elettrica fornita». Il legale dei sei indagati, l'avvocato Antonio Di Maggio, ribalta l'accusa e annuncia che chiederà la scarcerazione dei suoi assistiti. «Nessuna estorsione - dice - ma solo raccolte di solidarietà per aiutare persone in difficoltà. I miei assistiti sono tutti incensurati e hanno fatto un percorso nel movimento di lotta per la casa, in modo pulito, senza offendere nessuno». Si attende ora la fissazione dell'interrogatorio di garanzia davanti al Gip. Fab. Dic.

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