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Le alleanze variabili complicano la vita ai centristi

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Daevento marginale nell'agenda politica, gli Stati generali del centro convocati dall'UdC a Chianciano si sono improvvisamente trasformati in un evento da seguire con attenzione. Per gli ospiti presenti, in particolare Fini e Rutelli, entrambi e con ben diverse motivazioni interpreti del malessere dei rispettivi partiti. Per gli ospiti assenti, come Montezemolo. Per il ruolo di gran corteggiato a destra e a sinistra che il partito casiniano avrebbe rivendicato come presupposto della sua rinnovata centralità. Non ci pare che, chiusa gli stati generali, l'evento sia stato davvero all'altezza delle aspettative. Cominciamo dai possibili interlocutori dell'UdC: Fini ha spiegato che pur con tutte le perplessità del momento resta nel centrodestra visto che il bipolarismo non è in discussione, Rutelli porta su di sé i segni di un malessere reale ma porterebbe via dal Pd un meno reale bacino di consensi e militanza, Montezemolo ha spiegato a Berlusconi che per adesso non ha intenzione alcuna di scendere in politica. E già così, il mazzo di interlocutori possibili del progetto di «grande centro», ha perso le sue carte migliori. Nella più ottimistica delle previsioni, ogni progetto politico di scomposizione e ricomposizione degli attuali poli richiede tempi molto lunghi, e un rischio costante di logoramento. L'eterna evocazione di una Kadima italiana (e cioè di un partito di volenterosi di destra e riformisti che si mettono assieme in nome dell'interesse nazionale) è anche bella e nobile a essere pensata, e alcune degenerazioni del bipolarismo attuale lo lasciano pensare anche a molti bipolaristi convinti, ma la politica impone di ragionare anche con i numeri e le regole. L'ipotesi Kadima non tiene conto né della logica del nostro sistema elettorale né della predisposizione dell'elettorato a dividersi in una logica bipolare ogni volta che si presenta l'occasione, rappresentando le terze forze un «bene rifugio» per le minoranze. Solo se la questa legge elettorale cambiasse, forse solo in questa remota eventualità il progetto potrebbe riprendere un minimo di slancio. Certamente, l'UdC è il primo partito che ha interesse a mantenere agitate le acque nel governo. L'altra strada per movimentare l'attenzione e provare a destare qualche preoccupazione è gettare sale sulle ferite che oggi rendono complicati alcuni rapporti interni alla maggioranza. Ruolo e visibilità dei centristi, considerato che il centrosinistra versa in uno stato di enorme difficoltà, crescono in misura direttamente proporzionale ai sintomi di affanno di Berlusconi. Non si spiega altrimenti la minaccia o la certezza di poter mettere nell'angolo parlamentare la Lega una volta che Bossi dovesse inasprire ancora i suoi toni populisti: un modo per dire che, sì, il governo è forte, ma esiste nella maggioranza una componente molto vasta che si è stufata di sentirsi imporre la linea dal senatur o dalle sue truppe schierate in Parlamento, al governo o nelle Regioni. L'unico modo in cui questo potrebbe prendere corpo è quella (succulenta solo per i centristi) di un governo istituzionale e anti-bipolarismo, e ritorniamo nella fantapolitica. A dire il vero questo momento pone a Casini, Cesa e Buttiglione domande più impellenti che riguardano ciò che l'UdC si appresta a fare per le prossime elezioni regionali. La sola affermazione di essere «decisivi» serve a scaldare gli animi dei militanti, epperò spiega poco sulla rete di alleanze che l'UdC si appresta a formalizzare per la prossima competizione elettorale. E qui Pierferdy, più che Pierfurby, ci sembra PierForse: le alleanze variabili, un po' con il centrodestra un po' con il Pd, risolvono il problema di ritornare in qualche governo regionale nel momento stesso in cui rischiano di complicare la vita dell'UdC nell'immediato futuro, frammentando un'identità già messa a dura prova da mesi e mesi di opposizione solitaria. Tenendo presente, per puro dovere di memoria, che la storia del centrismo negli ultimi quindici anni, all'ombra dell'araba fenice del grande centro, è speranza di continue riunioni e pratica di continue scissioni.

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