La sparata di Bossi: Padania sovrana
Roboante, retorico, come con il rito dell’ampolla dell’acqua del Po, con la veste del guerriero per l’indipendenza senza macchia e senza paura. Un armamentario propagandistico che apparteneva allo scorso decennio prima che la Lega fosse irreggimentata in una battaglia politica con l’obiettivo del federalismo. Ora non basta più? I segnali di una Lega che voleva riprendere la propria azione incisiva, pur senza mettere mai in discussione la leale alleanza con Berlusconi, c’erano già stati. Dalla trovata di un esponente lombardo che propose di riservare i posti sui mezzi pubblici ai milanesi. Goliardia, provocazione fu detto. Semplicemente una fesseria. C'era stato un altro dirigente filmato mentre cantava canzoni contro i napoletani. Effetti secondari di un festa in birreria. Poi le più serie polemiche sulla bandiera tricolore, sull'inno nazionale, sui dialetti. Sulle gabbie salariali per ottenere stipendi più alti al Nord rispetto al Sud. Un crescendo polemico che per molti aveva un preciso obiettivo: tenere alta la tensione, o meglio il dibattito perché il Carroccio reclama la guida di una delle grandi regioni del Nord alle prossime elezioni. La richiesta principale riguarda il Veneto. Contemporaneamente c'era la necessità di assecondare alcune spinte radicali del popolo leghista. Di mantenere viva la mobilitazione. Ma ora con parole che fanno rispuntare l'incubo della secessione si va oltre. Si lanciano messaggi pericolosi. Per il Paese. Per lo stesso Pdl che i voti, e tanti, li prende anche al Centro e al Sud. Eppure la Lega non è stata marginalizzata in questo governo. Le leggi sull'immigrazione e sulla sicurezza sono anche bandiere del Carroccio. Temi che in un passato recente erano i cavalli di battaglia di An. Però proprio in questi giorni sono arrivati gli attacchi di Fini. Inevitabile lo scontro. E se il fine del Presidente della Camera era quello di provocare la reazione scomposta del leader leghista, l'obiettivo è stato centrato. A Bossi non potevano bastare le repliche, così ha alzato il tiro. Mettendo altra legna nel fuoco. Ha rispolverato la vecchia spada di Alberto da Giussano contro i nuovi Barbarossa. Menando fendenti all'impazzata. Così la sua difesa è diventata un attacco, non certo a questo governo, non è in discussione il sostegno a Berlusconi. Lo stesso senatur precisa che l'alleanza tra Pdl e Lega è fondamentale perché se «da soli si arriva prima, alleati si va molto più lontano». Dove? Bossi non ha dubbi sul suo traguardo. Lo indicano i sostenitori che lo accolgono in Riva degli Schiavoni a Venezia al grido di Padania libera. Bossi carezza il cuore della folla leghista annunciando il progetto di una catena umana sulle rive del Po nel prossimo maggio per ricordare che i popoli padani vogliono i «loro diritti di libertà». Come spiegherà Calderoli sarà anche una risposta a chi pensa a porte aperte per tutti. A Fini sono fischiate le orecchie. C'è il suo fantasma in tante dichiarazioni. La sua presa di distanze pesa, indispettisce. Crea la reazione. E Bossi non frena, anzi è un fiume in piena. Non vuole solo assecondare una folla urlante, lancia una sfida. Altro che diritti agli immigrati. Va ben oltre. L'hanno stuzzicato e lui risponde alla sua maniera. «Noi vogliamo cambiamenti epocali, non ci accontentiamo del federalismo». Torna sui salari, da incrementare al Nord per arrivare alla dichiarazione più rilevante. «Noi veniamo a Venezia perché sappiamo che un giorno la Padania sarà uno stato libero, indipendente, sovrano». Questa, in altri termini è una speranza di secessione. E che sia forte la sua sparata lo sa bene il leader leghista quando ripete: non c'è nulla che ci spaventa «neanche il carcere» e se qualcuno «vuole sfidare la Padania sappia che è di molti milioni di persone» e la Lega «ci sarà sempre finché i diritti alla libertà non saranno realizzati». Inoltre «la Padania sarà libera con le buone o le meno buone. La libertà è un diritto ed è un diritto ottenerla in tutti i modi». Il sasso è lanciato.