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Inutili i processi sui giornali

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Sul finire della prima Repubblica c'era un giornalista che si chiamava Carmine Pecorelli ed era detto "Mino" ed era insieme editore, direttore e redattore pressoché unico di una piccola rivista intitolata "OP", che stava per "Osservatore politico" e con cui spiava e minacciava mezzo mondo.   La rivista aveva una tiratura assai limitata, fino a poco tempo prima era addirittura diffusa sotto forma di foglio ciclostilato, e circolava in ambienti ristretti ma molto sensibili, quelli della politica di palazzo, i circoli militari e dei servizi segreti, gli enti economici e finanziari pubblici e privati. Le indiscrezioni, le insinuazioni, gli attacchi violenti di Pecorelli colpivano ogni settimana in tutte le direzioni. Spesso erano solo accennati, anticipati in una specie di codice, e se ne preannunciava il seguito o il chiarimento nel numero successivo della rivista. Qualche volta si stampava solo la copertina con titoli minacciosi, la si faceva circolare negli ambienti interessati, si discuteva e si trattava, si incassava una qualche regalia sotto forma di abbonamenti o di sottoscrizioni al capitale della società editrice e si cestinava l'articolo minacciato. Alla fine Carmine Pecorelli fu ammazzato, la sera del 20 marzo 1979, a Roma, in strada, sotto la redazione della sua rivista, mentre era montato sull'auto e aveva messo in moto, la prima pallottola in piena bocca, sfondando il labbro inferiore, le altre al petto e al cuore. L'assassino non è stato mai trovato, anche perché persero anni per processare come mandante Andreotti, ma poteva essere uno qualsiasi dei tanti spiati e minacciati di rivelazioni nelle ultime settimane. La rivista sparì con lui, ma non sparì un certo tipo di giornalismo a base di spionaggio e di rivelazioni scandalistiche o anche soltanto di minacce di rivelazioni, anzi con l'avvento della seconda Repubblica si diffuse a macchia d'olio. L'offensiva giudiziaria di Mani Pulite e di Tangentopoli favorì l'incubazione, il debutto e la crescita di tanti Pecorelli, più smaliziati e più mimetizzati, che ormai scrivono su giornali importanti e autorevoli, e qualche volta addirittura li dirigono. E, ciò che è più grave, fanno politica al posto dei politici di professione, ancor più di quanto non abbiano fatto le Procure, i giornali al posto dei partiti e ormai anche al posto delle Procure. Fino al punto che famosi pm professionisti dell'Antimafia preferiscono, più che passare veline ai cronisti amici come hanno fatto per anni, scrivere in prima persona e direttamente sui giornali.   Le conclamate nuove indagini sulle stragi di mafia del '92 saranno sempre più fatte dai giornali piuttosto che dalle Procure e sui giornali da pm-giornalisti più che da giornalisti-pm. E saranno sempre più destinate al fallimento, più ancora di come sono clamorosamente fallite le indagini sulla strage di via D'Amelio: in 15 anni i pm, a furia di dare la caccia ai «mandanti occulti», non hanno trovato nemmeno gli esecutori materiali. I pm-giornalisti dei picciotti assassini nemmeno si occuperanno, scriveranno tanto dei «mandanti occulti» che hanno scoperti e individuati da tempo e non sono mai riusciti, in mancanza di prove, a portare in una aula di tribunale e a farli condannare. Li processeranno e li condanneranno sui giornali. Come faceva Pecorelli, meglio di Pecorelli.

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