Criticare è sempre una questione di stile
Criticarechiunque, compreso il Presidente della Camera, è doveroso per un giornalista, se lo crede giusto. Altrimenti si insedia il conformismo. Fini, come tutti gli altri leader politici, è criticabilissimo a prescindere, e lo è quando assume posizioni — il voto agli immigrati è tra queste — che potrebbero essere considerate eccentriche rispetto alle indicazioni dei propri elettori (anche se poi bisogna vedere se ciò corrisponde al vero, come nel caso della posizione finiana sul testamento biologico). Il suo percorso politico più recente viene interpretato da alcuni come un tentativo costante di smarcamento dal berlusconismo, da altri — tra cui chi scrive — come la naturale evoluzione di un leader della destra europea. Avere opinioni diverse sul suo conto è un esempio di buona democrazia delle idee. Lo stile conta, però. È il sigillo di qualità di una argomentazione. E il modo in cui Feltri ha rovesciato le sue accuse contro Fini, forse presumendo di interpretare la pancia del centrodestra, suona stonato e sgangherato. Definire «ridicolo» il presidente della Camera, perpetuare il solito giochino trito e ritrito del Fini de sinistra, accusarlo sotto sotto di remare contro Berlusconi dimenticando che Fini ha difeso il premier nella fase più calda dell'attacco alla moralità della sua privata, tutto questo è critica propositiva? Mah. Il direttore del Giornale, persona di grande arguzia, ha già replicato che il suo mestiere non è quello di «contribuire a fare chiarezza nel Pdl». Giustissimo. Ma se questo è vero, allora l'invito indirizzato a Fini a «rientrare nei ranghi» dello stesso PdL è segno di una minacciosa incoerenza.