I romani? Sono affezionati ai loro posti

Sottoil balcone di piazza dell'Unità d'Italia? E 'ndo sta? E chi la conosce? Ne fiorirebbero, di lazzi, sulle bocche dei romani de Roma, orbe di peli sulla lingua. Ma pure su quelle di abruzzesi, molisani, calabresi, nelle fitte colonie capitoline. E degli stranieri, abituati al giro Via Veneto-Fontana di Trevi-Fori Imperiali-Colosseo. Insomma, un flop annunciato, piazza dell'Unità d'Italia. Come tutte le altre alzate d'ingegno - parecchie di Veltroni, quando s'affacciava dal Campidoglio - che hanno imposto cambi di toponomastica. E infatti chi s'è abituato a chiamare Galleria Sordi la Galleria Colonna? E largo Federico Fellini? Sta nel punto giusto, in cima a via Veneto, ma pochi se ne ricordano. E Piazza della Repubblica non resta, nella consuetudine, piazza Esedra? Vabbè, qualche voce - e faccia - simbolo della città si scrolla di dosso la routine. Gigi Proietti gigioneggia appena sulla storia dell'appuntamento sotto il balcone di mascellone ma poi esce allo scoperto. «Beh, io sono uno di sinistra ma quest'idea di cambiare il nome non mi trova contrario. Per me l'unità d'Italia c'è, ci sono stati morti, guerre, tragedie per farla. L'abbiamo conquistata e allora una piazza nel centro di Roma che sancisca nel nome questa realtà avrebbe un impatto simbolico rilevante. Qualcuno obietta: fatela in periferia. E no, non è la stessa cosa. Si vive d'immagine. Se lo Stato vuole sottolineare l'unità del Paese con la toponomastica, il luogo scelto dev'essere il più rappresentativo possibile. L'unità non appartiene a certe stagioni, ma a tutte. Lo dico da democratico, convinto del federalismo, ma quello che cementa». Anche Andrea Carandini, l'archeologo che ha scavato il Palatino, è un romano doc. Abita in via XXIV Maggio e lì, nello scenario del dibattito, arriva a piedi in cinque minuti. «Da vecchio abitante del Centro sono affezionato a Piazza Venezia. Che ha un nome legato alla storia della città, perché ospitava l'ambasciata della Serenissima. Insomma, chiamarla Piazza dell'Unità non è un atto significativo. Meglio celebrare altrimenti i 150 anni del Paese. Propongo un'iniziativa non dispendiosa ma di rilievo nazionale: creare un museo della Storia d'Italia. Perché, creda, pochi cittadini conoscono le contrapposizioni, le divisioni che l'Italia ha sopportato».