Anche la Bossi-Fini fu ostacolata
Anche la legge Bossi-Fini subì un boicottaggio da parte dei magistrati. Accadde nel novembre 2002 quando all'interno della Procura spuntarono due interpretazioni diverse: una secondo la quale l'immigrato va liberato prima dell'udienza di convalida, in base all'articolo 121 delle norme di attuazione del codice di procedura penale, secondo il quale «il pm dispone con decreto motivato che l'arrestato o il fermato sia posto immediatamente in libertà quando ritiene di non dover richiedere l'applicazione di misure coercitive» e in questo caso non sarebbero applicabili; l'altra interpretazione era di chi invece era per fare il processo direttissimo con l'imputato detenuto. Un paio di ordinanze dei giudici andarono nella direzione della prima tesi, altri giudici in quella della seconda. Si scatenarono le proteste, in particolare di un deputato di Forza Italia, Garagnani, il quale presentò un'interrogazione parlamentare denunciando un «presunto rifiuto di alcuni magistrati bolognesi di applicare la legge sull'immigrazione. Se fosse tutto vero - disse Garagnani - sarebbe una cultura da colpo di Stato. Inaudito». Il Procuratore Enrico Di Nicola, per avere una uniformità di approccio da parte della Procura, ha chiesto ai pm contrari all'udienza con l'imputato arrestato di dichiararlo prima, esentandoli così dall'udienza di convalida. Fu poi il giudice monocratico a risolvere la questione affermando che, comunque, il pm non poteva porsi quel problema e doveva procedere. Un altro problema si verificò a Torino dove a distanza di due anni dall'entrata in vigore della legge non era stata ancora creata la «Commissione territoriale per lo status del riconoscimento di rifugiato politico», e questo ostacolò i tempi della procedura bloccando l'applicazione della legge.