Davvero la sinistra non ne becca una
Percavarsela con una battuta d'osteria che però ci sta davvero bene andrebbe detto alla sinistra che ha fatto davvero un gran casino. Nel senso letterale del termine: ha trasformato l'immagine della politica, della nostra politica, in un gran puttanaio in cui hanno vigore la legge del taglione, quella del beduino, quella del «a bastardo, bastardo e mezzo», quella del chi rompe paga e i cocci sono i suoi. Si deve dir grazie, in questa splendida opera di scadimento della qualità del nostro linguaggio pubblico, ai giornalisti puritani che han pensato bene di mettere in crisi il governo infilando la testa tra le lenzuola, nelle storie di letto, nelle farfalline acciondolate al collo di qualche giovane, nelle alcove del potere per scovare, tra cosce ed erezioni, anche a questo hanno puntato, l'impotenza del potente e del più potente di tutti, Silvio Berlusconi. Hanno messo in piazza ragazzine, hanno sfruttato dicerie di signorine poco bene, a tutto si sono attaccati nella triste cronaca di questi ultimi mesi, dove ai tempi della caccia grossa alle rivelazioni della Patty D'Addario fu Massimo D'Alema, e non Alfonso Signorini o Fabrizio Corona, a intravedere «scosse» che potevano far cadere il governo e il suo leader. Complimenti, bella prova di bella politica. E così dal vespaio siamo passati al puttanaio. L'ultimo a fare outing di sputtanamento è stato il governatore pugliese Nichi Vendola: «Ci sono puttanieri in politica? Si facciano i nomi, a destra e a sinistra». Nichi è arrabbiato perché dalle parti della sua giunta sono arrivate indagini stomachevoli per il suo spirito da poeta, indagini che puntano il dito su quella forma oscena di mercimonio che promette lavori a povere donne, non a escort, non a strafighe ambiziose, in cambio di un posto di lavoro, in scene che nemmeno ne «La pelle» di Malaparte. E Bari è stata definita puttanopoli, non a caso (anzi, non a casino). Un casino, un puttanaio, puttanieri a destra, puttanieri a sinistra, puttanieri bipartisan. Il tutto condito, per non farsi mancare niente e per non far pendere la voracità da guardoni da un lato solo, da qualche pruderia sulla presunta omosessualità del direttore dell'Avvenire, imbullonato dal Giornale e sputtanato fino allo sfinimento. E viene quasi da ridere, perché dopo tutto questo casino c'è solo da fare contabilità delle occasioni che la sinistra tutta, politica e antipolitica, cerebrale e godereccia, moralista e immoralista, ha cercato di utilizzare e ha sparato a salve, come pallottole impotenti. Primo, l'utilizzo dei dubbi e le accuse sulla moralità privata del presidente del Consiglio come arma di impeachment politico: scatenata la caccia alle squinzie, a foto proibite, a rivelazioni piccantissime, sono rimasti con una mosca in mano. Secondo, l'abbiamo detto, l'evocazione dalemiana di “scosse” antigovernative, preludio a chissà quale rivolgimento politico o governo tecnico o governassimo o governo istituzionale: altro buco nell'acqua. Terzo, la grande speranza del giovane imprenditore barese, Tarantini, che avrebbe dovuto portare a chissà cosa, cocaina, festini, lerciume a villa Certosa. Anche lì, grandi speranze seguite da grandi delusioni, anzi da piste che – anche se non sono di coca – hanno portato altrove, lontano da Berlusconi e vicino al centrosinistra di marca pugliese. Pure la crociata dei laici in difesa di Dino Boffo, prima cannoneggiato per troppa accondiscendenza verso il governo, si è infilata nella secca, perché per Boffo si è invocata (e giustamente, pure) quella prudenza che verso Berlusconi è stata violentata in nome del diritto-dovere di informazione. Adesso resta solo l'arma finale: convincere il mondo che in Italia la libertà di informazione è in pericolo. È un'arma di disperazione, l'epitaffio di chi ultimamente non ne ha beccata una. Ma per far casino, va bene anche questa, fino alla prossima puntata (anzi, puntanata).