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E Prodi si crede il vincitore di Tokyo

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Lastrada è tracciata. Basta un po' di pazienza. Un bel po' visto che si tratta di trascorrere una cinquantina di anni all'opposizione. Ma Dario Franceschini e Pier Luigi Bersani non devono preoccuparsi: alla fine del percorso il Pd potrà finalmente governare il nostro Paese. No, non è uno scherzo, ma un'estrema sintesi di ciò che Romano Prodi ha detto ieri sera ai microfoni del Tg3. Argomento della conversazione, la storica vittoria dei democratici giapponesi dopo 54 anni di governo, quasi ininterrotto, dei liberaldemocratici. Una vittoria che, ormai da due giorni, ha completamente assorbito le attenzioni del Pd italiano. È come se avessero vinto loro. In realtà non è la prima volta che i Democratici si esaltano per un successo altrui. Era già accaduto con Obama. Con Walter Veltroni che spiegava un po' a tutti che era stato lui a scoprire il primo presidente nero degli Stati Uniti. Stavolta, invece, il merito è tutto di Prodi. «Noi - racconta al Tg3 - abbiamo cominciato a lavorare assieme nel '96 quando vennero a ispirarsi a quello che chiamavano l'Ulivo italiano». Ma c'è di più. Il Professore rivendica con orgoglio di aver telefonato al nuovo premier giapponese già domenica: «Gli ho fatto le congratulazioni, lui ha ricordato quando nel '98 dopo la caduta del mio governo ci siamo visti. Gli ho detto "guarda che non basta vincere le elezioni, bisogna avere un margine tale per durare l'intera legislatura". E lui il margine oggi ce l'ha». Anche per questo Prodi non ha dubbi: ciò che è accaduto in Giappone può essere un insegnamento anche per il centrosinistra italiano. E non solo perché, come aveva detto domenica, i problemi sono molto simili («popolazione in diminuzione, blocco dell'immigrazione, nessuna intenzione di cambiare l'età pensionabile e un Paese vittima delle "corporazioni"»). Il vero insegnamento, secondo l'ex premier, è che «un'opposizione si costruisce con molta pazienza. Hanno lavorato tantissimi anni...» E in effetti, prima di riuscire a vincere le elezioni, i democratici giapponesi guidati da Yukio Hatoyama, ci hanno messo «solo» mezzo secolo. Non male come prospettiva. Chissà cosa ne pensano i candidati alla guida del Pd italiano. Anche perché basta fare due conti. Hatoyama è diventato presidente all'età di 62 anni. Questo significa che, volendo mantenere la similitudine, Dario Franceschini ha ancora undici anni per provarci, Pier Luigi Bersani quattro, Ignazio Marino otto. Nessuno dei tre, insomma, può permettersi il lusso di aspettare per 50 anni. Poco importa. Per Romano Prodi, che di anni ne ha 70, l'importante è il ritorno alla vittoria dell'Ulivo. Del «suo» Ulivo. Come se non bastasse, mentre in Giappone trionfano i Democratici, dalla Germania arriva un altro «riconoscimento postumo». Secondo la stampa tedesca, infatti, dietro la vittoria della Linke di Oskar Lafontaine nella Saar, in Turingia e Sassonia, ci sarebbe lo zampino del Professore. Secondo il Tagesspiegel, quotidiano progressista di Berlino, Oskar il rosso «ha tradotto nel dialetto della Saar la formula dell'Ulivo italiano». Certo, a ben vedere, non è che l'Ulivo made in Italy abbia brillato per la sua capacità di governare il Paese. Le due esperienze di governo vengono ricordate più per i litigi all'interno della maggioranza che per altro. Eppure non è che di questo passo, per rivincere, il Pd dovrà rispolverare il buon vecchio Prodi? Nic. Imb.

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