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«È ora che anche i cattolici del mio partito escano dalle dichiarazioni ipocrite e dicano che, nonostante la solidarietà che tutti gli abbiamo dato, il direttore di Avvenire si deve dimettere»

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MarioAdinolfi, vicedirettore di Red-Tv ed esponente del Pd della mozione di Franceschini, è abituato ad essere un po' il «grillo parlante» del partito. E anche stavolta esce fuori dal coro delle dichiarazioni dei Democratici. Oltretutto fu proprio lui il primo, nel 2005, a scrivere sul suo blog che «un direttore di un quotidiano cattolico» aveva ricevuto «un decreto penale di condanna». Spcificando anche il luogo della sentenza, Terni, e il numero del fascicolo. Ma più avanti non era potuto andare perché i magistrati gli avevano risposto, per scritto, che a quegli atti «non poteva accedere». Ma c'è di più: con Dino Boffo l'attuale vicedirettore di Red-Tv ha lavorato proprio ad Avvenire per circa tre anni. Ma oggi Mario Adinolfi è l'unico a chiedere che anche nel Pd si faccia a meno dell'ipocrisia. «Al direttore, è ovvio, va tutta la nostra solidarietà e mi dispiace che sia finito in una storia come questa — spiega — Però bisognerebbe anche uscire dall'ipocrisia e dire che, proprio perché noi del partito Democratico vogliamo trasparenza a tutti i livelli chiediamo anche che il direttore di Avvenire venga sostituito. Altrimenti non siamo credibili». E, per par condicio, Adinolfi nel suo blog se la prende anche con i vescovi. «Io credo — scrive — che la difesa d'ufficio di Boffo da parte della Chiesa italiana fosse inevitabile, mi preoccupa molto invece la scelta dei vertici della Cei di tenere questo soggetto alla guida del potente quotidiano dei vescovi negli ultimi quindici anni, secondo il vecchio schema per cui una persona ricattabile è una persona controllabile, che eseguirà gli ordini». Dino Boffo è stato infatti messo a dirigere il giornale nel 1994 dal cardinale Camillo Ruini. E lì è sempre rimasto, anche quando le gerarchie ecclesiastiche hanno saputo della sua condanna. Condanna che, comunque era nota a tutto il mondo politico. Un appello che comunque il Partito Democratico sembra non avere alcuna intenzione di seguire. Dario Franceschini, ieri, ha infatti continuato a battere sul tasto dell'«intimidazione» nei confronti della stampa. «C'è un problema reale — ha spiegato parlando ad Ancona a sostegno della sua mozione — quando si arriva a intimidazioni di vario tipo nei confronti di chi fa il proprio mestiere, di chi rispetta la libertà di stampa». Non è normale, secondo Franceschini, «che si cominci minacciando gli imprenditori che fanno pubblicità sui giornali, dicendo non fatela più sui giornali che scrivono cose sgradite, e che poi si prosegua con attacchi diretti». «Io penso — ha continuato — che sia arrivato il momento in cui la società civile e non soltanto le opposizioni si mobilitino nel mese di settembre per una grande campagna in difesa della libertà di stampa, che non riguarda solo l'opposizione e non ha colore politico ma che va salvaguardata e tutelata». Antonio Di Pietro, leader dell'Italia dei Valori, affronta invece la vicenda sotto una chiave ancora diversa. «È sbagliato prendersela solo con Feltri che rappresenta il sintomo, non la malattia — ha detto parlando a Bari — La malattia è la schedatura di una persona in quanto omosessuale». Per Di Pietro, schedare i gay «lo si faceva nel fascismo, dove venivano schedati gli ebrei, gli omosessuali, i diversi e oggi scopriamo che viene ancora fatto». «Ecco — ha concluso — è questo governo fascista, xenofobo e razzista che noi vogliamo contrastare».

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