La «realpolitik» impone al Cavaliere di andare in Libia
Nonsono bastati gli attacchi del centrosinistra, persino Libero ha chiesto al premier di rinunciare al suo viaggio. Mi sembra, sinceramente esagerato e non solo: dopo aver indotto il premier a rinunciare all'incontro dell'Aquila con il cardinale Bertone c'è chi vorrebbe mettere trappole anche all'incontro libico. Ma, intanto, per mettere le cose in chiaro, il Cavaliere ha tenuto a precisare che non sarà presente ai festeggiamenti del 1° settembre per i 40 anni dall'insediamento del dittatore: si limiterà a partecipare, domenica, alle celebrazioni del trattato di amicizia Italia-Libia e questa è già una presa di distanza. Martedì sarà invece a Danzica dove presenzierà, assieme ad altri uomini di Stato, tra cui Putin, al 70° anniversario dello scoppio della seconda guerra mondiale. Insomma, tutto secondo programma. E anche l'esibizione delle Frecce tricolori non merita tanto dibattito: sono ambasciatori volanti del made in Italy. Al di là degli aspetti formali, ci sono però ragioni sostanziali che mi inducono a ritenere fuorvianti le discussioni su Berlusconi-sì, Berlusconi-no nella capitale libica. C'è, appunto, un problema di realpolitik (leggi: petrolio), come sostiene anche Cossiga: non si possono gettare a mare tutti gli investimenti (non solo economici) che sono stati fatti per riallacciare il dialogo con Tripoli. Ma ci sono anche questioni di competenza. Se è vero che è stato vergognoso il gesto compiuto da Gheddafi di accogliere trionfalmente al Megrahi, autore della strage di Lockerbie, non si capisce perché i giornali britannici se la siano presa con Berlusconi per il suo viaggio in Africa. Semmai, quegli stessi quotidiani avrebbero dovuto attaccare le autorità scozzesi che avevano liberato lo spietato terrorista. Non è un caso che il presidente Obama, dopo avere criticato Londra per quella scarcerazione, abbia precisato che il premier italiano è libero di vedere chi vuole. La visita del Cavaliere non significa, però, un'adesione alle provocazioni del colonnello: a Tripoli, Berlusconi non mancherà certo di esternare le nostre grandi perplessità sulle ultime vicende. E, poi, diciamola tutta: noi italiani ci saremmo, piuttosto, dovuti arrabbiare in giugno quando Gheddafi venne in visita a Roma con tutte le sue donne di scorta. Vi ricordate? Il colonnello scese la scaletta dell'aereo abbracciato al figlio di Omar al Muktar, giustiziato proprio nel ventennio dai gerarchi di Mussolini. Insomma, in giugno abbiamo dimostrato self control, evitando così un nuovo incidente diplomatico, perché ora dovremmo compiere adesso una clamorosa rottura?