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Il premier querela "La Repubblica"

Niccolò Ghedini

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A quelle dieci domande Silvio Berlusconi non ha mai voluto rispondere. «Retoriche e palesemente diffamatorie» le ha definite. Così, trascorsi più di due mesi dalla pubblicazione del decalogo incriminato il presidente del Consiglio, sostenuto dal suo avvocato Niccolò Ghedini, ha deciso di querelare il quotidiano La Repubblica. Una denuncia correlata da un'ingente richiesta di risarcimento danni al Gruppo L'Espresso. Un milione di euro. Fatti due conti, sarebbero cento mila euro a domanda. Anzi un po' meno dato che, oltre ai quesiti, l'oggetto della denuncia è anche un articolo del 6 agosto scorso a firma di Giampiero Martinotti dal titolo «Berlusconi ormai ricattabile. Media stranieri all'attacco: Nouvel Observateur teme infiltrazioni della mafia russa», un servizio che riportava i giudizi della stampa di tutto il mondo sul caso italiano. Un pezzo che, come riporta l'atto di citazione, «con l'espediente di riportare il contenuto del settimanale francese ha pubblicato notizie non veritiere, riportando circostanze che in alcun modo corrispondono alla situazione di fatto e di diritto realmente esistente». A dare notizia dell'avvio della pratica firmata il 24 agosto del presidente del Consiglio è stato proprio ieri il quotidiano di largo Fochetti titolando la prima pagina: «Berlusconi va dai giudici e fa causa alle 10 domande». Il tutto correlato da un reprint dell'atto di citazione depositato al Tribunale di Roma e da un editoriale scritto dal direttore del giornale Ezio Mauro dal titolo «Insabbiare». Una parola chiave alla quale affidare la linea difensiva, o, sarebbe il caso di dire, d'attacco, adottata dal quotidiano. «Non potendo rispondere, se non con la menzogna, Silvio Berlusconi ha deciso di portare in tribunale le dieci domande» citano le prime righe del pezzo che continua: «La questione è semplice: poiché è incapace di dire la verità sul "ciarpame politico" che ha creato con le sue stesse mani e che da mesi lo circonda il capo del governo chiede alla magistratura di bloccare l'accertamento della verità impedendo la libera attività giornalistica d'inchiesta, che ha prodotto quelle domande senza risposta». La decisione di adire alle vie legali contro il quotidiano romano ha suscitato le inevitabili reazioni del mondo politico. Il segretario del Pd Dario Franceschini, che ha telefonato al direttore di La Repubblica per esprimergli solidarietà, parla di «indegna strategia di intimidazione nei confronti di un singolo giornale, dell'opposizione e di chiunque difenda i principi di un Paese libero che non ha precedenti in nessuna democrazia. Il presidente del consiglio non denunci solo La Repubblica, ci denunci tutti». Pier Luigi Bersani, candidato alla segreteria del Pd, parla invece di «iniziativa inaccettabile e dieci volte sconsiderata». Il tutto mentre sul sito on-line di La Repubblica i tre giuristi Franco Cordero, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky, stavano dando il via a una raccolta di firme in difesa della libertà di stampa. Ma i grattacapi per La Repubblica non sembrano essere finiti. Anche L'Osservatore romano ieri ha alzato la voce. Il giornale della Santa Sede ha infatti ribattuto duramente a un commento pubblicato sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari dal titolo «La perdonanza mediatica», dove il teologo Vito Mancuso illustrava l'evolversi del perdono liturgico nella storia della Chiesa e citava il caso di Giovanni Battista, imprigionato e decapitato «per aver richiamato il re Erode al rispetto della morale matrimoniale». Durissima la replica affidata ad un articolo della Scaraffia intitolato «Quando si ignora la storia» nel quale si accusa Mancuso di servirsi di informazioni «carenti» sul piano storico «per attaccare il cardinale segretario di Stato per un incontro che sarebbe dovuto avvenire in un'occasione istituzionale ben definita». «Mancuso - aggiunge L'Osservatore romano - dovrebbe sapere che anche nella Chiesa di oggi la penitenza è una cosa seria, tanto da non dover venire confusa con polemiche contingenti come quelle a cui sono usi i giornali».

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