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Il dialetto materia scolastica? Meglio le tradizioni locali

Scuola

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Il dialetto a scuola? Meglio ricordarselo come una boutade di mezz'estate, un'idea semi-seria da solleone. La proposta espressa da più parti dalla Lega Nord sull'insegnamento del dialetto non ha riscosso grandi entusiasmi anche all'interno della stessa maggioranza. Nessuna apertura è pervenuta infatti dal ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini, ospite del meeting di Cl a Rimini, che ha invece espresso la volontà di favorire l'insegnamento delle tradizioni locali. Oltre naturalmente ad insistere sul tallone d'Achille dei docenti italiani: la conoscenza della lingua inglese. «Penso - ha detto la Gelmini a Rimini - che la scuola debba occuparsi anche di trasmettere ai ragazzi la conoscenza dell'identità, della storia dei luoghi e della cultura di un determinato territorio. Non mi soffermerei troppo sul dialetto, ma credo però che sia importante la difesa dell'identità, che è fatta anche di tradizioni locali». Le parole del ministro sono rimbalzate nel Varesotto dove il Senatùr Umberto Bossi era in visita al Mipam, la mostra internazionale dei prodotti e degli animali di montagna: «Non voglio fare polemiche - ha minimizzato Bossi - Per parlare all'estero occorre l'inglese, per parlare con la propria gente il dialetto va benissimo. Non capisco perché dobbiamo far saltare tutto». Secondo Bossi, infatti, «il dialetto in tutte le regioni d'Italia è la lingua più parlata. Troveremo il sistema per salvarlo». Ma il dialetto come materia scolastica (a proposito: Quale dialetto? E chi lo dovrebbe insegnare?) a sorpresa non trova molti adepti in Veneto. Quattro veneti su cinque sono contrari alla proposta leghista anche se il 70% vede di buon occhio iniziative istituzionali per non perdere costumi e tradizioni locali. Lo ha rivelato un'indagine dell'istituto di sondaggi «Panel Data», svolta su un campione di 700 cittadini del Veneto. Per evitare che il tempo cancelli le tradizioni locali, tra cui il dialetto, oltre sette veneti su dieci riterrebbero utili iniziative delle istituzioni per insegnare ai ragazzi la storia del territorio da cui provengono. Ma il dialetto nelle scuole è bocciato quasi all'unanimità, dato che «non rappresenta un percorso di formazione primaria». Secondo la maggior parte degli intervistati, dunque, l'identità veneta «va salvaguardata» ma «non a scapito di quella nazionale», motivo per cui viene bocciata anche la proposta di far sostenere un «esame di dialetto» agli insegnanti. Nove veneti su 10, infine, si dicono contrari a cambiare l'Inno nazionale e vogliono tenersi «Fratelli d'Italia». Dialetto ok ma mai e poi mai a scuola. Sulla questione è intervenuto anche Fabio Rampelli, deputato del Pdl e membro della Commissione Cultura della Camera: «Ingessare il dialetto in una materia scolastica, forse i ministri Bossi e Zaia si dimenticano, significa snaturarne l'origine: i dialetti si "studiano" nelle strade, si ascoltano nelle contrade, si orecchiano dai vecchi saggi, si leggono in talune opere letterarie atipiche, si rigenerano nelle opere teatrali. Ci sono mille modi per impararlo e promuoverlo, ma mai insegnandolo a scuola. Il dialetto è anti-didattico per definizione, sgrammaticato per scelta, non è un'istituzione ma uno slang e chi lo vuole formalizzare lo immiserisce e rischia di ucciderlo». Intanto però il ministro delle Politiche Agricole Luca Zaia, veneto e leghista, ieri mattina dal meeting di Rimini ha ribadito che nelle scuole italiane si deve parlare il dialetto, e Rai3 deve essere una vetrina «per la lingua e le identità locali». «Io insisto - ha spiegato Zaia - sul fatto che abbiamo una rete televisiva pubblica, Rai3, che nasceva per dare voce alle realtà locali, mentre il suo palinsesto è tutto nazionale».

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