Fini ha fatto arrabbiare il Pdl
Prima l'immigrazione. Poi il biotestamento. Gianfranco Fini è sempre più solo. E non soltanto quando parla dallo scranno più alto della Camera dei Deputati, interpretando giustamente il ruolo «terzo» del presidente. La sua voce risuona solitaria nel partito di Berlusconi, che comprende anche il suo ex partito, Alleanza nazionale. E molti prendono le distanze dalle sue posizioni, considerate addirittura vicine a quelle della sinistra. Proprio dal palco della festa democratica di Genova, il fondatore di An ha annunciato di voler «correggere» il testo sul biotestamento. «Non si tratta di favorire la morte ma di prendere atto della impossibilità di impedirla», ha precisato Fini, e il testo in questione «difetta» perché «non tiene conto di questo principio». Una replica, neanche tanto velata, al ministro Maurizio Sacconi che dal Meeting Cl di Rimini indicava tutt'altro percorso. Frasi pesanti come macigni, che nella maggioranza hanno avuto l'effetto di un sasso lanciato in uno stagno dalle acque già increspate dalla polemica sull'immigrazione che ha contrapposto «l'uomo di Fiuggi» alla Lega Nord: «Mi auguro che il Pdl comprenda che sul tema dell'immigrazione si limita a produrre una politica che è la fotocopia rispetto all'originale, dove per originale si intende la Lega», aveva detto Fini sempre sul palco genovese. Immediata, e dura, la reazione di ampi settori del partito di governo. Il più infuriato è Maurizio Lupi, ciellino e vicepresidente di Montecitorio: «Se Fini decide di votare la legge sul testamento biologico? A quel punto tireremo a sorte chi dovrà presiedere per quella votazione: perchè penso che anch'io vorrò scendere per votare, come vorranno farlo la Bindi e Buttiglione...». Rispetto alle «uscite» precedenti, improntate «alla massima corretezza», in questo caso Lupi imputa a Fini una scesa in campo che viola le regole dell'imparzialità della sua carica. «Su questo tema non fa il presidente della Camera - osserva Lupi - Rispetto profondamente questa sua scelta ma non la condivido. E ci confronteremo in Parlamento». Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello affidano il loro dissenso a un comunicato congiunto: «La legge sul testamento biologico approvata a Palazzo Madama è frutto del libero convincimento dei senatori, che non solo non possono essere tacciati in alcun modo di clericalismo, ma hanno avuto la possibilità di esprimersi nella libertà della loro coscienza anche rispetto ai gruppi di appartenenza». Il capo e il vicecapogruppo vicario del Pdl a Palazzo Madama concludono rifiutando «lezioni di laicità». Non dicono esplicitamente da chi, ma la loro è un'omissione eloquente. Sulla sovranità dei senatori rincara la dose il presidente dell'Udc, che è d'accordo con Fini sull'immigrazione ma non sul biotestamento: «Mi pare che il Senato sia una delle due Camere del Parlamento italiano e non un'appendice del Vaticano - afferma Rocco Buttiglione - E il testo sul testamento biologico che il Senato ha inviato alla Camera dei Deputati è un'espressione, certo ancora parziale, della volontà sovrana del popolo italiano». Non ci vanno giù leggeri i leghisti, già imbufaliti per la vicenda dell'immigrazione, i quali paventano addirittura che «la discesa in campo di Fini» possa «determinare l'insabbiamento definitivo del ddl», come dichiara il capogruppo in commissione Sanità del Senato Fabio Rizzi. Che aggiunge: «Fini stia al suo posto istituzionale e la smetta di far danni entrando in un dibattito politico che non gli compete. Almeno fino a quando non finirà di fare il presidente della Camera e si proporrà come leader di ciò che rimarrà del Pd». E nel Pd, ovviamente, le affermazioni del Gianfranco Nazionale riscuotono plausi a non finire. Anche se c'è qualcuno, a sinistra, che comincia a temere un'«invasione di campo». «Non possiamo lasciare a Fini la bandiera e il ruolo di capofila delle modifiche da fare alla legge sul testamento biologico», avverte il segretario socialista Riccardo Nencini. Ed è un pericolo concreto, considerata l'inconsistenza e la debolezza dell'opposizione.