Bersani all'attacco dei teodem

Vuole un Pd «da combattimento», rimprovera Franceschini con un velenoso «se abbiamo perso in un anno 4 milioni di voti qualche problema ci sarà» e ammette che, quando ci sarà il congresso «qualcosa agli italiani dobbiamo pur dirla». Ma mette anche subito un punto fermo: «Non farò il segretario se non posso dire sinistra». Pierluigi Bersani si presenta alla festa del Pd di Genova dopo una mattinata passata a far comizi lungo la riviera ligure, e per un'ora cerca di far capire alla platea che si accalca nell'auditorium all'aperto che si incunea nel porto il «senso» della sua candidatura a segretario.   Parla del governo, degli errori che, a suo dire, avrebbe commesso nell'affrontare la crisi ma almeno lascia da parte gli attacchi personali a Berlusconi. Anzi, chiarisce subito che lui di berlusconismo e antiberlusconismo proprio non vuole sentir parlare: «Io voglio un partito che faccia opposizione e che sia capace di predisporre un'offerta alternativa. E non posso aspettare che il Pd abbia il 51 per cento perché ho qualche urgenza che preme». Sul partito che dovrà costruire, se sarà eletto segretario, ha almeno un'idea chiara: all'interno ci si dovrà confrontare ma poi non ci dovranno essere posizioni personali. Arrivando addirittura a rimpiangere la Democrazia Cristiana. «Pensate a una figura come Oscar Luigi Scalfaro, quanto ha sofferto in alcune decisioni. Però voi ve li ricordate i voti di coscienza con la Dc? Io molto pochi». Parte così l'attacco ai teodem del partito che su vicende legate a temi etici hanno spesso posizioni molto distanti. «Oggi dicono che c'è un problema "antropologico". Non sono d'accordo. Non lo ha mica ordinato nessuno di fare fare il parlamentare, non si può ragionare solo in funzione della propria coscienza. I gruppi si devono dare delle regole e quelle vanno rispettate. E le eccezioni? Ci devono essere ma devono restare eccezioni. Noi siamo un partito che ha una grande tradizione cattolico-democratica, per questo dico che la Chiesa deve partecipare alla discussione pubblica. Però voglio che chiarisca meglio il grado di libertà che ha un deputato, perché io con quel deputato devo discutere».   Parole alla e quali si è affrettato subito a rispondere Giuseppe Fioroni: «Mi rendo conto che forse non basta partecipare a iniziative del mondo cattolico per rendersi conto che l'autonomia dei politici cattolici non è la Chiesa a doverla concedere. È il nostro "libero arbitrio" che ci consente, dopo avere ascoltato tutto, compresa la nostra coscienza, di decidere in piena autonomia per il bene di tutti nei ruoli che ciascuno di noi ricopre».   Bersani comunque va dritto per la sua strada e anche sul tema del testamento biologico fa capire che le divisioni con l'ala del suo partito più legata alla Chiesa sono assai profonde: «La tecnica è la tecnica, però io mi affido alle decisioni del medico, alla volontà dell'uomo e dei suoi affetti, dei suoi familiari». Poi l'attacco al Pdl: «Come devo morire io non può deciderlo il senatore Quagliariello». E per restare in tema di centrodestra Bersani prova anche a ridimensionare l'«affetto» che la platea ha avuto mercoledì verso Fini: «Dobbiamo essere orgogliosi dei nostri valori e delle nostre idee quando viene un altro a riconoscerle. Applaudiamo Fini perché applaudiamo le nostre idee».