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Energia, l'eredità di Pecoraro è una bolletta da 555 milioni

Alfonso Pecoraro Scanio

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L'economia italiana corre il serio rischio di dover pagare per il 2009 un ulteriore balzello di cinquecentocinquantacinque milioni di euro, poco più di mille miliardi delle vecchie lire. È la bolletta Pecoraro Scanio. Quando il leader dei Verdi era ministro dell'Ambiente pensò bene di favorire le nostre imprese elettriche ed energivore con un piano nazionale di assegnazione delle quote di emissioni di anidride carbonica particolarmente penalizzante. L'argomento è un po' tecnico, se non ostico, ma il risultato finale è di una concretezza tale che conviene sforzarsi nel provare a capire. In base all'adesione al cosiddetto Protocollo di Kyoto finalizzato alla riduzione dell'inquinamento nel nostro pianeta, l'Unione Europea ha pensato di stabilire non solo degli obiettivi generali ma anche specifiche modalità con le quali ogni singolo Paese può concorrere alla nobile causa.   Tale sistema consiste nell'assegnazione — al sistema industriale di ogni Stato — di una certa quantità di tonnellate di emissioni e nel fissare un costo (quindi un disincentivo) per chi supera quella soglia. Ovviamente, pur nell'ambito di particolari e spesso discutibili criteri, la fissazione di queste quantità è legata anche alla capacità contrattuale dei singoli governi. Il piano europeo per l'attuazione della direttiva Emission Trading per il periodo 2008-2012 era già sfavorevole all'Italia perché prendeva come riferimento l'inquinamento storico e poiché il nostro Paese aveva già buone performances ambientali in termini di emissioni è evidente che non sarebbe stato avvantaggiato.   Il centrosinistra allora al governo aveva un'idea strana di europeismo: un tabù intoccabile anche quando produceva ingiustizie che penalizzavano la nostra economia. Non contento di questo, il ministro Pecoraro Scanio ha pensato bene di voler fare il primo della classe, a spese dell'interesse nazionale. Invece di determinare la quota italiana in 230 Mt Co2/anno come pure gli consigliavano i tecnici del suo ministero, ha voluto abbassare l'asticella a 201,63 Mt Co2/anno. In particolare, il titolare dell'Ambiente ha ridotto al lumicino (16,93 Mt Co2/anno) la quantità di emissioni per i «nuovi entranti», ovvero i nuovi impianti. Cosa c'entra tutto questo con il costo — ripetiamo 555 milioni di euro per il solo 2009 — che dovrebbero sopportare i contribuenti italiani? Semplice: la legge finanziaria 2008 (varata sempre dal centrosinistra) prevede che il governo garantisca a tutti i nuovi impianti le quote eccedenti di Co2 oltre il tetto fissato dal Piano «a titolo gratuito». Senza considerare un rischio di sanzione stimato in 5,6 miliardi di euro, vi è intanto la necessità di trovare le risorse pubbliche per acquistare sul mercato le emissioni necessarie ai nuovi impianti. Di qui, l'allarme per i 555 milioni di euro che nel 2012 potrebbero raggiungere quota 840 milioni di euro. Non soddisfatti del danno, dobbiamo anche subire la beffa di comprare la Co2 da Paesi come Francia e Germania che hanno performances ambientali peggiori delle nostre ma che non hanno avuto come ministri dei primi della classe come Pecoraro Scanio e che quindi hanno negoziato al meglio i loro fabbisogni nazionali. «Il ministro dell'Ambiente di allora — spiega Corrado Clini, direttore generale del ministero — ha ritenuto che fosse giusto ridurre le quote, convinto che in questo modo le imprese italiane sarebbero state costrette ad investimenti in nuove e più efficienti tecnologie. Valutazione sbagliata, perché in ogni caso il miglioramento delle già elevate performances delle imprese italiane a partire dal 2009 avrebbe richiesto costi marginali altissimi senza risultati apprezzabili: in tempi brevi margini di miglioramento significativi sono possibili solo in processi industriali obsoleti». Evidentemente l'approccio ideologico di Pecoraro Scanio non poteva prendere in considerazione l'idea che l'industria italiana fosse mediamente più efficiente di quella europea. La conclusione è che il costo elevatissimo che il Sistema Paese (e i suoi contribuenti) rischia di pagare non produrrà nessun vantaggio ambientale. «Si tratta — spiega ancora Clini — di una evidente distorsione, che non ha nulla a che vedere con la riduzione delle emissioni». Nei giorni scorsi dalla sinistra è partito un tam-tam volto a criminalizzare il governo di centrodestra, reo di far pagare ai cittadini un costo per la propria scarsa sensibilità ambientale. Si tratta solo di un tentativo maldestro di mettere le mani avanti e coprire invece un colossale errore del ministro Pecoraro Scanio. Ora, a questo esecutivo toccherà tentare di mettere una toppa e di rinegoziare con la Commissione Europea i termini della direttiva che è a monte di tutto questo ottovolante. È facile prevedere che Francia e Germania — che solitamente in Europa sono più e meglio rappresentate — cercheranno di tenersi stretto il bottino così facilmente regalato loro da Pecoraro Scanio. La questione ormai non è più da dibattito politico. Non serve spiegare chi e come è più eco-sensibile. In ballo, adesso, c'è un costo per il Paese che, tanto più in un periodo di crisi come questo, è semplicemente insostenibile. Tutte le forze politiche e tutte le istituzioni devono fare quadrato per assicurare la salvezza da quello che si presenta a tutti gli effetti come un colpo mortale alla competitività economica dell'Italia. www.formiche.net

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