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Alla fine, se gli esami confermeranno che è una donna, le chiederemo pure scusa.

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Senozero, mascella quadrata, addominali scolpiti come solo un uomo può, cosce idem, fianchi inesistenti, peli lunghissimi su polpacci e braccia. Vabbè che viene da un villaggio remoto senza elettricità né acqua corrente, dove la ceretta probabilmente non sanno neanche cosa sia, ma la diciottenne sudafricana ha peccato davvero di ingenuità. Perché l'oro non s'è l'è andato a conquistare nel campetto dietro casa ma davanti alle telecamere del mondo. Così all'umiliazione di tutti i giorni, come raccontano i suoi familiari, ora se ne aggiunge una planetaria, con tanto di ricorsi e riflettori mediatici impietosi. L'allenatore di Semeya, Michael Seme, ha raccontato più di un episodio in cui la ragazza si è trovata in difficoltà. Come quando cercarono di proibirle l'accesso al bagno per signore e lei rispose: «Volete che mi abbassi i pantaloni?». E anche la nonna, Maphuthi Sekgala, 80 anni, che l'ha cresciuta, conferma che la nipote è sempre stata presa in giro per il suo aspetto. Il padre Jacob ora invoca rispetto e tranquillità per la sua bambina anche se chi l'ha sentita parlare, con quella voce grave, tanto somigliante a quella dell'ambigua Amanda Lear o dell'ermafrodito dichiarato Eva Robbins, fa fatica a immaginare che sia davvero una donna. Si fosse messa una maglietta di gara più lunga gli scalini sull'addome si sarebbero visti meno. Avesse indossato al posto dei «pantaciclisti» delle culotte più femminili come le altre finaliste. Si si fosse fatta crescere i capelli ed avesse eliminato i peli superflui, si fosse fatta applicare delle belle unghie lunghe finte, magari non troppo colorate, e avesse osato un leggero trucco, forse sarebbe passata inosservata. Ma così, no. Così è come sparare sulla Croce Rossa. Non c'è difesa. Se la natura è maligna qualche trucco si può sempre usare. In modo da non farsi così «crudelmente umiliare», come ha denunciato l'allenatore Seme. Ma è pur sempre vero che la furbizia è donna...

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