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Antonella Vicini HERAT Un'aria calda, caldissima e polverosa, ma non così tesa come si sarebbe potuto immaginare, quella che si respira in Afghanistan, a Camp Arena, dove ha sede il Regional Comand West.

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Dalfronte talebano giungono, infatti, notizie riguardanti il dispiegamento dei militanti un po' ovunque nel Paese, per impedire ai 17 milioni di afghani che si sono registrati di recarsi alle urne, ma qui ad Herat, i seggi che rimarranno chiusi perché considerati «unsafe» (pericolosi) saranno meno di quelli previsti. «È chiaro che in questi giorni sono stati registrati vari movimenti tra gli insurgents, intercettati e segnalati anche dalle operazioni di intelligence», spiega il Generale di Brigata Rosario Castellano, a guida del Regional Comand West dal 2 aprile scorso. Questo significa che resteranno delle aree non controllate, «dove non ci sarà un completo esercizio del diritto di voto», prosegue. In ogni caso, nella zona di competenza italiana «su 1014 polling centres», soltanto 90 saranno chiusi. Fino ad una ventina di giorni fa, i siti ancora in bilico erano 120. Un lieve miglioramento che si spiega, secondo il generale, con un lavoro di pianificazione iniziato circa due mesi fa, in vista del processo elettorale, tra Ana (Afghan National Army) e autorità afghane, sulla base delle direttive Isaf. Gli italiani, come gli altri militari impegnati nella missione internazionale, hanno un ruolo di mero supporto in questi giorni e interverranno «qualora la situazione dovesse deteriorarsi in alcune aree» e nel caso in cui forze di polizia e forze armate locali non fossero in grado di gestire da sole il problematico contesto elettorale. Un banco di prova per le istituzioni afghane che cercano di mostrare così una maggior autonomia militare, mentre quella politica fatica decisamente a prendere forma. I passi da compiere sono comunque ancora molti, ed è per questo che, su esplicita richiesta afghana, oggi gli italiani saranno impegnati in prima persona in dieci problematici distretti dei quaranta che compongono il Rc West. In cinque di questi, in particolare, Murghab, Muquk, Ab Ikamari, Qadis e Bala Baluk, italiani e afghani opereranno congiuntamente. Già da due giorni, in ogni caso, «il grande occhio Isaf», come lo definisce più volte il generale Castellano, ha iniziato un monitoraggio aereo con Predator, elicotteri e Tornado in versione da ricognizione, mentre alcuni agenti dell'Anp, Afghan National Police, stavano raggiungendo le loro postazioni nei luoghi meno raggiungibili. A tentare di garantire la sicurezza dei polling centres ad Herat, come nelle altre province afghane, saranno dei cordoni di protezione a «cerchi concentrici». Davanti ai seggi verranno schierati dai 2 agli 8 poliziotti; al livello successivo, più esterno, saranno presenti i militari dell'Ana; infine, gli uomini Nato, pronti ad intervenire se necessario. Misure a cui si aggiunge una tregua elettorale, più sostanziale che formale, tra governo di Kabul e talebani di Bala Murghab, di cui hanno potuto rendersi conto, nei giorni scorsi, i Predator e gli elicotteri italiani, assistendo all'abbandono di alcune zone da parte degli insurgents. «Abbiamo avuto conferma che se ne sono andati - sottolinea ancora la guida del comando del Rc West - ma non abbiamo certezza che non siano ritornati». Anche se è facile prevedere che, dopo la «pubblicazione» del decalogo del mullah Omar che prescrive di salvaguardare i civili e di concentrarsi esclusivamente sui militari, alcuni degli accordi ostentati dall'entourage di Karzai, come quello favorito da alcuni elders, possano avere valore, non fosse altro che per opportunità politica del momento.

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