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I paradossi della nostra politica

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Le imminenti elezioni regionali, le ricandidature di Formigoni e Galan, le pretese della Lega e il ruolo decisivo dell'Udc sono facce diverse di una stessa medaglia. Riguardano cioè la crisi di un processo politico che si voleva portare a un approdo anglosassone (bipartitico o quasi) e che oggi si trova invece ancora in alto mare sbattuto tra le onde alte sia del bipolarismo sia del frammentarismo. Sotto l'ombrellone si leggono l'aspirazione di Bossi a esprimere un presidente di Regione (punta chiaramente al Veneto) e il tentativo dell'Udc, e in parte del Pd, di incunearsi nella dialettica fra il Pdl e il Carroccio puntando su Formigoni e Galan: due eccellenti governatori con la tessera di Forza Italia che guidano le rispettive regioni da oltre dieci anni. In pratica, per cambiare schema di gioco, ovvero di alleanza, l'opposizione chiede che nulla cambi (i numeri uno di Lombardia e Veneto). Siamo al rovesciamento del Gattopardo. D'altra parte, non c'è nulla di cui stupirsi: il paradosso è una delle fondamenta della politica italiana. La prima Repubblica è entrata in crisi per la difficoltà di riuscire a rigenerarsi. I grandi big dei partiti di allora apparivano dinosauri immarcescibili. Puntuale si presentò il big bang che, nel caso specifico, corrispose a Tangentopoli. Bruscamente e forzosamente, quindi, si chiuse un'epoca e se ne aprì un'altra che prometteva una maggiore capacità di ricambio generazionale. Dal primo successo elettorale di Berlusconi, nel '94, sono passati quindici anni e a ben vedere i protagonisti di allora non sono cambiati più di tanto. L'establishment dei movimenti politici, nessuno escluso, è rimasto praticamente invariato. Perfino la girandola di leader della sinistra non ha determinato un rinnovamento autentico. Qui, l'equazione del Gattopardo ritorna alle origini: è come se tutto cambia perché nulla cambi. Un copione, per l'appunto, ben noto agli elettori italiani. Con l'aggravamento che l'immobilismo ha trasbordato i confini dei partiti ed ha contagiato un po' tutto il sistema della classe dirigente e, per restare al campo della politica, anche quello degli enti locali. A parte rare e felici eccezioni (come Matteo Renzi a Firenze o Gianni Alemanno a Roma), i governatori che amministrano il territorio non subiscono quel fisiologico turn-over che sarebbe legittimo attendersi.   Non sappiamo che piega prenderà il risiko autunnale per le Regionali e come le formazioni di Pdl, Lega, Pd, Italia dei Valori e Udc si disporranno in campo. Quando però il presidente della Lombardia afferma solennemente: , gli crediamo. E ci preoccupiamo. Non perché non sia bravissimo – a dirlo sono i suoi elettori – ma perché quando non c'è capacità di ricambio, i politici diventano dinosauri e questo solitamente prelude ad un big bang ed al rischio di estinzione. L'eccesso di stabilità può provocare il massimo di destabilizzazione. Anche questo è un paradosso di cui tener conto.

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