E il Pd può solo tacere
... sia Pier Luigi Bersani, in competizione congressuale per la segreteria, avevano scommesso per un nuovo assalto a Silvio Berlusconi e al suo governo. Nella loro visione catastrofica delle cose i dirigenti del maggiore partito di opposizione avevano annunciato, e forse ancora sognano, un torrido autunno, disseminato di fabbriche chiuse e di piazze stracolme di disoccupati furiosi. Spira invece attorno a noi, come dicono gli ultimi dati diffusi dall'Ocse e dalla Banca Centrale Europea, ed è destinato a coinvolgerci, se non un vento, un venticello di ripresa. Il peggio è passato, aveva detto già qualche settimana fa il presidente del Consiglio procurandosi sberleffi e accuse di irresponsabilità da parte di Franceschini e Bersani. Ma i fattti gli stanno dando ragione. A ritenere che il peggio sia passato sono poi arrivati, fra gli altri, il presidente degli Stati Uniti e i governi di Parigi e di Berlino. Certo, i problemi permangono. Chi lo nega? I dati sul prodotto interno lordo e sulla produzione industriale hanno conservato da noi anche negli ultimi rilevamenti trimestrali il segno negativo, ma il clima è cambiato. Se ne rendono conto gli stessi dirigenti del Pd tacendo o parlando di meno di queste cose. Essi hanno spostato la loro carica polemica contro il governo su altri versanti. Ora, dopo averlo corteggiato e incoraggiato per mesi, sino ad assecondare l'approvazione della sua legge delega sul federalismo, hanno scoperto che Umberto Bossi, come dice anche Pier Ferdinando Casini con animosità ricambiata, «detta la linea» a Berlusconi. Il partito del Carroccio sembra ora far loro paura forse più della crisi economica. Sembra interessarli persino più delle famose «dieci domande» sulla vita privata del presidente del Consiglio che il loro principale giornale di riferimento, la Repubblica, continua a proporre ossessivamente pensando magari che il Papa si decida a scomunicarlo per le sue bagatelle sessuali. Adesso insomma è Bossi la minaccia più pericolosa. È significativo, a questo proposito, il gran da fare e da dire nel Veneto. Al cui governatore Giancarlo Galan, del Popolo berlusconiano della Libertà, in procinto di concludere il suo terzo mandato consecutivo, il Pd sta facendo scompostamente la corte perché non rinunci a candidarsi ancora, contro l'aspirazione della Lega ad avvicendarlo. Incoraggiato a rompere l'alleanza con il Carroccio, e anche a spaccare il proprio partito, facendo affidamento sull'attuale opposizione per riproporsi nelle elezioni dell'anno prossimo alla guida della regione, Galan ha sarcasticamente risposto chiedendo con quale Pd debba eventualmente trattare, vedendone nel territorio almeno tre dietro la stessa sigla e lo stesso segretario nazionale. Ma spostiamo lo sguardo dal Veneto per rivolgerlo, per esempio, alla Puglia. Quanti Pd esistono in quella regione, dove la giunta uscente guidata dall'ex rifondarolo comunista Nichi Vendola sta affondando nell'inchiesta giudiziaria sulla sanità? Se n'è visto e sentito uno schierato accanto al governatore in un duro attacco al pubblico ministero che conduce le indagini, e disposto a ricandidarlo nelle elezioni dell'anno prossimo per una nuova edizione del cosiddetto centro sinistra regionale, magari allargata all'Udc di Pier Ferdinando Casini e all'ex esponente di Alleanza Nazionale Adriana Poli Bortone. Ma se n'è visto anche un altro che ha protestato, con una lettera promossa da amici di Enrico Letta e di Massimo D'Alema, contro la solidarietà espressa a Vendola dalla segreteria nazionale. Ce n'è poi un terzo, riconducibile per ora al solo D'Alema, che ha già aperto trattative con l'Udc per liquidare il governatore uscente. In altre parti d'Italia la musica del Pd non è diversa. Rimane unica solo per demonizzare Berlusconi e il suo rapporto, ora, con Umberto Bossi. Che certamente non cadrà sotto i colpi dell'opposizione.