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Bossi alza la voce. Il Pdl batta un colpo

Umberto Bossi

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Lo fa anche sapendo che oggi intervenire a sostegno del Mezzogiorno è piuttosto impopolare. Già nel Lazio meridionale cominciano ad esserci sentimenti che definire para-leghisti è troppo ma certamente ci si avvicinano. E dunque, Bossi prova a occupare quello spazio che si apre. E lo fa a modo suo. Con le battute, le provocazioni. Lo fa ai modi di Bossi sapendo che si è aperta la campagna elettorale per le Regionali dell'anno prossimo. E fin qui è tutto normale. Tutto legittimo anche il fatto che la Lega faccia una sorta di concorrenza interna al Pdl. Tutto che fa parte della politica. Quello che non è normale è la linea del Pdl. Se c'è una linea. Qualcuno ha capito che cosa vuole fare il principale partito nazionale? Dovrebbe essere il partito del premier a dettare la linea, a porre questioni al centro del dibattito, a spronare il Paese. Dovrebbe essere il partito guida. Si dirà: ma è Ferragosto, che volete? E sarà pure Ferragosto ma intanto Bossi non è in vacanza. Si dirà: sono polemiche estive? Sarà ma di certo quello che sta accadendo oggi anticipa il dibattito di autunno. E ciò che è disarmante è che nel Pdl basta che Berlusconi stacchi un po' la spina, abbia a che fare con discussioni familiari, se ne vada nella sua villa a Porto Rotondo, e il partito non esiste più. A leggere le dichiarazioni sono in servizio solo in quattro: Maurizio Gasparri e Italo Bocchino, Adolfo Urso e Sandro Bondi. Il punto non è ribattere a Bossi. Ma fare in modo che sia Bossi a dover ribattere. Il presidente del Consiglio ha tenuto due importanti conferenze stampa in questo mese, entrambe di bilancio di ciò che è stato fatto. E va bene, forse non è mai poco ricordare il lavoro mastodontico fatto soprattutto se messo a confronto con l'immobilismo del governo precedente. Sarebbe ora però che si cominciasse a pensare che cosa fare nei prossimi mesi. Senza fare l'elenco delle promesse, ma due o tre cosette sarebbe il caso si dicesse almeno che fine hanno fatto. Berlusconi alla fine della campagna elettorale per le Europee, in un'intervista a Il Tempo, annunciò che una volta chiuse le urne avrebbe riaperto i gazebo per raccogliere le firme a sostegno di una legge per il dimezzamento dei parlamentari. Qualcuno ha visto almeno qualche ombrellone? Prendiamo il programma elettorale. Vero che i punti qualificanti sono stati tutti realizzati, e nel primo anno di governo su cinque: è già un bel risultato dato che si è affrontato anche un terremoto e la più grave crisi economica degli ultimi ottanta anni. Bisogna ricordarlo. Il governo però potrebbe anche dire che cosa intende fare della riduzione delle tasse. Ti rispondono: ma cavolo, c'è la crisi, come si fa? E va bene, c'è la crisi. Ma si potrebbe anche dire quando si procederà. Nell'ultimo anno di legislatura? Nel piano «Rialzati Italia» c'è scritto di una graduale riduzione dell'Irap. Si farà tutto nel 2012? Oppure il completamento della legge Biagi. Bene, quando? E l'abolizione della tassa di successione e sulle donazioni reintrodotte dal governo Prodi? Per queste ultime si tratta peraltro di tasse che hanno un gettito contenuto ma toglierle di mezzo avrebbe comunque un valore simbolico enorme. È stata eliminata l'Ici. Ma nel programma c'era scritto dell'introduzione progressiva del quoziente familiare per il quale Casini invece a Ferragosto è sceso sulle spiagge a raccogliere le firme. Ora, anche i bambini sanno che il quoziente costerebbe una cifra oggi impensabile: forse anche dieci miliardi. Ma proprio per questo sarebbe ancora più impensabile avviare una rivoluzione del genere non con l'orizzonte di una intera legislatura ma magari di appena un pezzetto. Si parla tanto di Sud, nel piano si faceva esplicito riferimento a «leggi obiettivo» speciali su turismo, beni culturali, agroalimentare e risorse idriche, infrastrutture e logistica, poli di eccellenza per la ricerca e l'innovazione. E soprattutto si faceva menzione alla fiscalità di vantaggio, o meglio di sviluppo, di cui si sono perse le tracce. Infine, un capitolo a parte meritano le riforme istituzionali. Non facevano parte del programma di governo ma forse sono l'unico punto cui mettere mano in epoca di crisi economica. Si potrebbe, perché non farlo?  

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