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Applicati i principi della Costituzione

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nonpuò essere oggetto di profitto scolastico», e lo Stato «non può conferire a una determinata confessione una posizione dominante violando il pluralismo ideologico e religioso». Con questa sentenza il Tar ha dato attuazione ai principi costituzionali della laicità dello Stato e dell'eguaglianza dei cittadini, enunciati esplicitamente da una sentenza costituzionale del 1989 quale «garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà religiosa in regime di pluralismo confessionale e culturale». In sostanza l'attuazione dell'indirizzo costituzionale conferma che la Chiesa cattolica conserva il sacrosanto diritto di esercitare liberamente il suo magistero impartendo, con propri insegnanti, ai giovani che lo desiderano i principi di fede nella scuola pubblica, ma ribadisce l'illegittimità della discriminazione dei giovani non credenti e di altre confessioni, poco importa se pochi o molti, che non possono giovarsi in termini di crediti scolastici della stessa facoltà. La protesta avanzata con ostilità - «decisione vergognosa e pretestuosa» - da monsignor Diego Coletti a nome della Conferenza episcopale si basa sulla convinzione che la sentenza del Tar tenderebbe a emarginare l'insegnamento della religione dalla scuola e non riconoscerebbe il ruolo della tradizione cattolica in Italia. La realtà, però, è diversa. La reazione stizzita alla sentenza fa piuttosto ritenere che la gerarchia ecclesiastica non riesce a prendere atto che la Chiesa cattolica in Italia non opera più in regime di monopolio, che la Costituzione del 1948 sancisce la non discriminazione religiosa, e che perfino la revisione del Concordato del 1984 stabilisce che non c'è più una religione di Stato azzerando alcuni privilegi che Mussolini aveva concesso nel 1929 come instrumentum regni. Nel mondo occidentale tutti i cristiani, inclusi i cattolici, affrontano le società secolarizzate del mondo moderno con la forza dell'apostolato religioso, mettendo da parte i privilegi istituzionali e i legami con lo Stato. In Italia, invece, sembra che la Chiesa romana, soprattutto nella sua espressione ufficiale, abbia una grande nostalgia di un passato preconciliare che non c'è più. Non giova alla libertà religiosa, al prestigio della Chiesa, all'apostolato di Benedetto VI, e agli stessi valori religiosi, l'insistenza con cui la Conferenza episcopale italiana cerca un rapporto stretto e privilegiato con il potere pubblico e un intreccio con la politica per ottenere maggiore influenza mondana. Massimo Teodori

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