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Dal premier una nuova opportunità

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Non è un caso che Silvio Berlusconi abbia affrontato la questione dei differenziali retributivi tra Nord e Sud nel contesto di un ragionamento riguardante la nuova politica economica che il Governo intende adottare per lo sviluppo del Mezzogiorno. Il premier ha buona memoria e ricorda come l'intervento straordinario (prima e dopo l' istituzione della Cassa) abbia a lungo convissuto con l'istituzione delle «zone salariali». Per altro, rileggendo qualche pagina di storia si scopre che le differenze dei minimi retributivi sono effettivamente esistite e che il territorio nazionale era stato suddiviso in 14 zone nel secondo dopoguerra. Poi, nel 1961, le zone furono dimezzate e fu prevista una diminuzione dello scarto tra la prima e l'ultima dal 29% al 20%. Il loro superamento avvenne immediatamente prima dell'autunno caldo del 1969. Tra la fine del 1968 e i primi mesi del 1969 furono stipulati – dapprima con l'Intersind-Asap, l'associazione rappresentativa delle aziende a partecipazione statale, poi con la Confindustria – accordi per l'abolizione delle zone e delle differenziazioni territoriali. Da allora i minimi tabellari previsti dai contratti nazionali di categoria sono uniformi su tutto il territorio italiano. Unificate le retribuzioni, restarono diversi gli standard dello sviluppo. Per ripristinare l'equilibrio le imprese meridionali si avvalsero degli sgravi fiscali e contributivi (a riduzione strutturale del costo del lavoro) a carico dell'intervento straordinario (la ex Cassa del Mezzogiorno). Quando, nei primi anni '90 le regole europee resero impraticabili gli aiuti di Stato, la struttura produttiva meridionale restò nelle classiche «braghe di tela», costretta a cercare riparo nell'economia sommersa, maledetta e combattuta a parole ma tollerata nei fatti, a prova che il Sud non è in condizione di reggere regole e costi forzatamente uniformi sul territorio nazionale.   Ipotizzare allora differenziali retributivi non significa rendere giustizia al Nord – come vorrebbe la Lega – ma aiutare veramente il Sud. Basti pensare che nei giorni scorsi la Uil ha proposto di scambiare nelle regioni meridionali retribuzioni inferiori ai minimi con nuova occupazione regolare. Sicuramente le soluzioni vanno ricercate attraverso la contrattazione collettiva. Se il meccanismo tecnico delle «zone salariali» rappresenta un capitolo chiuso della storia del Paese, la questione dei differenziali retributivi può essere affrontata con criteri nuovi. Opportunamente, nell'accordo quadro del 22 gennaio, al punto 16, è stata prevista – come ha ricordato il ministro Maurizio Sacconi - la vera soluzione del problema. Si tratta della possibilità per le parti sociali di derogare di comune proposito dai minimi e dalle norme dei contratti nazionali mediante specifiche intese rivolte a governare, direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o a favorire lo sviluppo economico ed occupazionale. Chi ha del filo lo tessa.

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