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Pieczenik l'Amerikano l'agente Cia che seguì il caso Moro

Una lettera con proiettili

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Abbiamo incontrato Steve Pieczenik nel corso di un suo recente passaggio a Parigi. Ha circa 70 anni ed è di origine russa - suo nonno era un luogotenente di Trotskj, ed è francese, avendo lui studiato da giovane a Tolosa. Assomiglia molto all'attore americano Harvey Keitel. Piccolo, squadrato con la stessa mascella e la stessa forma del viso dell'attore di pulp fiction. Con la sua famiglia, dopo i suoi studi in Francia, è emigrato negli Stati Uniti dove è diventato cittadino americano. Lì ha fatto dei brillanti studi ad Harvard e al Mit, dove si è specializzato in diplomazia e psicoanalisi. Come molti studenti brillanti è stato individuato nel suo Campus universitario dall'amministrazione americana che gli ha proposto di entrare nel ministero degli Affari esteri. Poi Herny Kissinger, qualche anno più tardi, lo ha incaricato di creare e dirigere la prima cellula antiterrorista degli Stati Uniti. Dirige questo Ufficio quando il sottosegretario di Stato, di Jimmy Carter, Ben Reid, lo convoca nel suo ufficio qualche giorno dopo il rapimento Moro. Quello che accade è lui stesso che lo racconta: «Ben Reid, che dipendeva da Cyrus Vance, ministro degli Affari Esteri, mi ha convocato nel suo ufficio, dopo un minuto di conversazione siamo arrivati al punto, e mi ha chiesto se accettavo di andare in Italia per "aiutare il ministro dell'Interno Francesco Cossiga e il governo di Giulio Andreotti" ». Pieczenik continua: «Arrivato in Italia, il capo della CIA sul posto aveva ben poco da dirmi, non esistevano rapporti su Aldo Moro né sulle Brigate Rosse né sulla P2 o i fascisti oppure il SISMI o il SISDE, l'ambasciatore era arroccato nell'ambasciata con tutta la sua famiglia, pensava solo alla sua sicurezza ed era politicamente inefficiente. In sostanza avevo seri problemi con il mio servizio di Intelligence e con il mio ambasciatore, non avevo nessuna conoscenza, quindi quello che ho fatto è stato imparare da Cossiga e da Franco Ferracuti, anche lui psichiatra. La prima cosa che mi disse Cossiga fu molto chiara, mi dipinse dettagliatamente la situazione italiana.   Mi disse: - "Guarda, non abbiamo capacità per gestire questa crisi, non abbiamo una strategia, non abbiamo un SOP (System of Operation), abbiamo bisogno di delineare un modo sistematico di pensare per creare un apparato statale strategico e tattico in grado di far fronte al rapimento di Aldo Moro. Abbiamo problemi con il nostro intelligence e anche con i Carabinieri, non sappiamo mai cosa fanno e dove sono". Cossiga fu molto onesto con me, mi rivelò come stavano veramente le cose, e mi disse che era contento di ricevere il mio aiuto». Poi continua: «Quando Cossiga mi fece vedere i rapporti sulla dinamica del rapimento la prima sensazione fu, come dire, di rispetto per le Brigate Rosse, non erano da sottovalutare, erano molto ben organizzati. Io ho lavorato contro molti gruppi terroristici, palestinesi in Libano, e l'Armata Rossa giapponese. Tutti estremamente professionali, ma questo lo era di più perché questa era un'unità di commandos, erano capaci di studiare i minimi dettagli, sono riusciti a uccidere otto guardie del corpo e lasciare Aldo Moro illeso per poi rapirlo, e questo è stato allo stesso tempo il loro successo e il loro fallimento. Non avevano realizzato che rapendo e non uccidendo sul posto Aldo Moro avrebbero spianato la strada a uno come me, esperto nel contrastare il terrorismo, per sviluppare una strategia di negoziazione con chi detiene l'ostaggio, terreno a me familiare. Mi hanno dato quindi l'opportunità di avere del tempo per eventualmente riuscire ad invertire il controllo della situazione sulla gestione dell'ostaggio da loro a me, se l'avessero ucciso la cosa avrebbe avuto maggiore risonanza, avrebbe fatto il loro gioco e sarebbero divenuti più forti, invece sono caduti nella trappola del modo di pensare tipico dei rapitori che devono gestire un ostaggio, e questo mi ha fatto molto comodo. Lo ripeto, avevo molto rispetto per loro, e avevo anche molta paura, perché dopo solo 24 ore dal mio arrivo risultavo essere sulla loro lista nera, quella dei personaggi scomodi da eliminare. Avevo capito subito che le BR già si erano infiltrate ovunque, nel Parlamento come nel gruppo dei fedelissimi di Cossiga, tanto che mi venne consegnata una pistola Beretta per la mia difesa personale che mi portavo sempre con me, ci vivevo, ci andavo in giro ovunque, un po' come faccio adesso. Vivevo all'hotel Excelsior perché non c'era per me un ricovero più sicuro di quello, i Carabinieri non potevano proteggermi, così ho dovuto di notte 'dormire' per sei settimane con la pistola sulle ginocchia puntata alla porta. Mi muovevo solo in taxi perché era troppo pericoloso utilizzare auto governative. Ero nel loro mirino, loro erano dappertutto, la loro credibilità come gruppo terroristico aumentava di giorno in giorno, tatticamente erano eccellenti ma io ero in cerca di un punto debole nella loro strategia, e l'ho trovato».   «Come sono riusciti ad infiltrarsi così bene nello Stato italiano e come facevo io a saperlo - Lei mi chiede? Probabilmente non era così difficile. Non so spiegarvi il meccanismo effettivo con cui sono riusciti a farlo, io l'ho capito in conseguenza dei fatti avvenuti, dei nostri sospetti e tramite l'aiuto del Vaticano. Non voglio fare nomi, ma tutte le informazioni utili che io e Cossiga abbiamo ricevuto venivano dal loro Intelligence, perché quello del governo italiano praticamente non esisteva, il nostro non funzionava, quando ci siamo resi conto che i figli di importanti parlamentari erano implicati con le BR, e abbiamo realizzato che attraverso il sistema stesso sono stati loro che hanno rivelato informazioni a Cossiga come quelle sul mio conto, che sapevano tutto di me, chi ero, di cosa mi occupavo e che dovevo essere eliminato, ecco, ho subito capito quanto erano presenti nella comunità parlamentare, negli organismi di sicurezza nazionale. Voglio dire con questo che la loro presenza nello Stato era più che palese, si sono infiltrati così velocemente perché il Governo era molto debole, completamente destabilizzato dalla vicenda di Moro. Il mio compito perciò era quello di riuscire a mantenerlo stabile il più a lungo possibile. Ho notato subito, appena arrivato, una considerevole presenza, come dire, di fascismo e di membri della loggia massonica P2 anch'essi infiltrati all'interno del SISMI e del SISDE, dal primo momento in cui entrai in contatto con queste forze dello Stato la struttura della loro organizzazione e il modo di comportarsi mi sono sembrati tali e quali a quelli dei fascisti del Duce! Non era così complicato accorgersene. C'era stato un tentativo di colpo di Stato da parte della P2 e dei servizi segreti che Cossiga era riuscito a neutralizzare ma vede, il fatto che ci fosse di mezzo anche la P2 e che ci fosse del fascismo ben radicato ai piani alti del potere e come si interelazionassero questi elementi di disturbo tra loro in quel momento non mi interessava più di tanto. Ovvio che dovevo rimanere ben cosciente della loro presenza ma me ne preoccupavo in maniera minore, dovendo io occuparmi solamente di trattare con le BR per risolvere strategicamente la vicenda dell'ostaggio. Dove operavo fisicamente? Dunque, il primo giorno mi portarono in quella che chiamavano una "casa sicura" dove c'erano Carabinieri, forze governative francesi e spagnole, ma era chiaro per me che non c'era l'ombra di armi per proteggermi sul serio. Così venni scortato all'hotel Excelsior dove presi alloggio per poter vivere comodamente almeno fine al giorno della mia morte, se fosse capitata! Come ho detto prima mi muovevo con un taxi, non era sicuro per me spostarmi con l'auto dell'ambasciata, ed ero sempre armato della mia Beretta. Lavoravo con il sottosegretario Cossiga nel palazzo del Parlamento. Ci incontravamo sempre a diverse ore del giorno. Lui era molto attento ad imparare da me, e prendeva in seria considerazione ogni assunto, ogni strategia e ogni opzione che saltasse fuori dal mio lavoro. A volte cambiavamo posto, andavamo in luoghi che pensavamo essere sicuri e che potevano essere eventualmente attrezzati per la nostra protezione se le cose fossero peggiorate, dove potevo anche esercitarmi con la pistola, ma lo sviluppo di tutte le nostre strategie, il lavoro effettivo è stato fatto dentro il Parlamento».   «Rimasi in Italia per 55 giorni. La prima settimana mi diedero da leggere tante lettere, sia di Aldo Moro che delle BR. Dalle missive di Moro si evinceva quanto fosse sconcertato, impaurito ma, soprattutto, quanto le sue parole e le sue considerazioni si fossero sposate con il pensiero dei suoi aguzzini, delle BR. Dal mio punto di vista, essendo io un esperto nell'amministrare le situazioni di crisi e un negoziatore di ostaggi, dovevo ammettere che mi trovavo di fronte a quella che si chiama una totale identificazione da parte dell'ostaggio con i suoi rapitori, uno stato psicologico molto comune per chi si trova a dover vivere in condizioni del genere. Gli ostaggi in genere si identificano con gli aggressori e cominciano a chiedere le stesse cose che loro chiedono, accade sempre così e lo tengo sempre bene a mente, allo stesso tempo leggevo le lettere delle BR, che suonavano assai diverse da quelle di Moro, scritte con uno stile da secchione molto pedante, piene zeppe di nozioni di scienze politiche, ho capito subito di che si trattava, da dove potevano saltar fuori persone che scrivevano così, questo perché anche io ho studiato scienze politiche. Sicuramente dall'Università di Scienze Politiche di Francoforte, o da Habermass, insomma ho intuito le loro origini e i loro percorsi di studio, ho messo il tutto da parte e mi sono concentrato nuovamente sulle parole di Moro per monitorare il più accuratamente possibile la sua struttura psicologica, sebbene dal primo momento in cui ho letto una lettera delle BR mi sono accorto della presenza di una apertura che mi avrebbe permesso di sviluppare in maniera efficace la mia strategia». «La morte di Moro è avvenuta in un momento in cui, dalla mia parte ero impegnato a manipolare psicologicamente i terroristi, cercando di stabilizzare una situazione che si sarebbe potuta risolvere se le BR avessero rilasciato l'ostaggio quasi subito, in questo modo avrebbero raccolto la simpatia di tutti gli italiani. Quello che io continuai a fare fu invece l'opposto, cioè attirare l'antipatia degli italiani sulle BR, sul PCI e sulla P2 e sui fascisti, perché gli italiani non hanno mai amato gli estremi. Le BR caddero nella mia trappola. Loro, invece di pensare: "Mi sa che non funziona così, forse converrebbe rilasciarlo". Il sistema delle BR era un sistema binario, "lo rilasciamo o lo uccidiamo", mentre il mio sistema era "no no no, non funziona così, non siete liberi di decidere, voi sarete costretti a ucciderlo e pagherete il tutto a vostre spese" ma intanto aspettavo il momento in cui forse si sarebbero accorti di essere manipolati, ero preparato e cosciente del fatto che se avessero cambiato strategia il mio piano sarebbe fallito». «Verso la quarta o quinta settimana, quando le lettere di Aldo Moro si fecero sempre più disperate, quando cominciò a scrivere: "guardate, ora rivelerò quello che ho fatto e i nomi delle persone che erano coinvolte con me". A questo punto dissi a Cossiga che la situazione era divenuta estremamente seria, eravamo arrivati a un punto di non ritorno per noi, era il momento di decidere se Aldo Moro dovesse morire o continuare a vivere. Nel frattempo, informati dagli utilissimi servizi di Intelligence del Vaticano, venimmo a conoscenza anche che i familiari di Aldo Moro si stavano muovendo in lungo e in largo per l'Italia sconfinando pure in Svizzera, e realizzammo così che i figli dello statista stavano di fatto aiutando le BR. Fatto uno più uno mi consultai di nuovo con Cossiga e alla fine fummo d'accordo che non ci fosse più tempo utile per tergiversare e continuare la negoziazione, mentre le BR non avevano la stessa percezione che avevamo noi del tempo che non si poteva più sprecare. È stata una negoziazione non-negoziazione. Quando, qualche giorno prima del ritrovamento del corpo di Moro, tornato indietro negli Stati Uniti, dovevo fare rapporto al Presidente così scrissi queste parole su una piccola striscia di carta che si usava in queste occasioni chiamata - Direttiva Nazionale di Intelligence: - La stabilità in Italia è ora assicurata. Purtroppo Aldo Moro è morto - ».

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