La verità di Saddam
Non ho mai avuto rapporti con Osama Bin Laden». «La guerra all'Iran ha arginato la rivoluzione khomeinista e di questo l'America mi deve essere grata». E ancora citazione di libri, parabole di Gesù e chiarimenti sul suo ruolo nella questione palestinese. Rivelazioni di una fonte di prima grandezza: Saddam Hussein. Venti interrogatori e cinque conversazioni «informali» condotti dall'Fbi, prima coperti da segreto e ora resi disponibili in virtù del Freedom Information Act. Solo l'interrogatorio numero 20 risulta ancora coperto da segreto per ragioni di sicurezza nazionale. Era stato il nemico numero uno. Il suo nome negli Stati Uniti e nel mondo era sinonimo di malvagità, di dittatura, di feroci crimini. Poi la guerra, la fuga, divenne l'Asso di picche, e infine la cattura nel «buco di ragno» il 14 dicembre 2003 nove mesi dopo l'inizio della seconda guerra del Golfo. Saddam Hussein, barba e capelli incolti, mostrato agli obiettivi come un animale selvaggio appena messo in catene con il medico che gli apre la bocca come si fa con un cavallo. Il tiranno è divenuto «prigioniero di alto valore codice 1». Ristretto in una cella di Camp Cropper nel compound americano all'aeroporto di Baghdad subisce da subito gli interrogatori della Cia. Senza successo alcuno. Saddam infatti dà risposte evasive e usa la sua ben nota retorica per eludere le domande. Poi a febbraio 2004 entra in scena l'agente speciale Gorge L. Piro, un libanese naturalizzato americano, esperto di interrogatori e soprattutto uno dei pochissimi agenti federali che parla arabo e persino il dialetto assiro fluentemente. Non solo. Piro riesce a entrare in sintonia con il prigioniero e questi arriva anche a parlare fuori dalla compilazione dei verbali durante un incontro che Saddam aveva sollecitato perché non funzionava l'aria condizionata della sua cella. Saddam scrive poesie che legge il giorno dopo al suo carceriere. L'agente Piro si sdebiterà regalandogli due sigari Cohiba prima di consegnarlo, nel luglio 2004 al termine degli interrogatori, ai giudici del nuovo governo iracheno. Il 7 febbraio 2004 parte il programma di interrogatori classificato come Operazione «Desert Spider». Il dossier contiene numerose notizie interessanti in quanto Saddam Hussein di fatto racconta la sua vita e le sue scelte a partire dal 1959. Parte da quella data per spiegare che il suo ultimo rifugio, la buca vicino Tikrit sua città natale, dove è stato catturato dai marines è lo stesso covo che aveva usato nel 1959 dopo il fallito golpe al quale aveva partecipato e il tentativo di omicidio del presidente Qassem. Saddam si dilunga sulle armi di distruzioni di massa. Ma era più preoccupato dalla minaccia dell'Iran che dalle ispezioni dell'Onu e dalle sanzioni. Ammette di «aver sbagliato a non aver fatto assistere gli ispettori delle Nazioni Unite alla loro distruzione». Saddam è rilassato quando parla con l'agente speciale Piro. Non è stato mai interrogato con metodi violenti. Il rapporto tra agente e prigioniero si fa quasi confidenziale. L'ex rais parla del suo impegno per promuovere il progresso sociale dell'Iraq che , e augura tutto il bene e il progresso all'Iraq e «al popolo americano». Si esalta quando parla della riforma agricola, della fatica di far rinascere il Paese dopo la prima guerra del Golfo. Saddam si assume tutta la responsabilità di aver ordinato il lancio di Scud contro Israele nel 1991. «I problemi degli Stati Uniti con i Paesi arabi sono tutta colpa della cattiva influenza di Israele», mette a verbale l'ex dittatore. I ricordi di Saddam non sempre convincono l'agente dell'Fbi. Ma il rais nel ricordare la sua vita dal 1968 arriva persino a menzionare una presunta pace con i curdi di Barzani nel 1970. Hussein cita un suo libro: «Zabibah e il Re» come metafora della sua vita, per spiegare come lui è al servizio del popolo e «nelle mani di Dio». Perché «viene prima Dio e poi il popolo». E qui la prima citazione su Gesù «apprezzato dal popolo come Maria era una del popolo e Cristo viveva tra la gente». «Essere fedeli» spiega il rais all'agente federale è una «cosa buona». «Essere traditori è la peggiore cosa». Poi spiega che, avido di conoscere la cultura americana, si documentava guardando i film di Hollywood. Il preferito: «Il Padrino». Durante l'interrogatorio del 30 marzo 2004 Saddam rivela la sua anima ecologista. Bacchetta l'America e l'Europa per la distruzione della foresta amazzonica che definisce il polmone del mondo mentre lui aveva bonificato le paludi preservando gli uccelli e soprattutto salvaguardando il popolo iracheno non come gli avevano fatto gli americani con gli indiani. Saddam Hussein quasi si mette a ridere quando rivela che la storia dei suoi sosia era solo «un mito da film» tipico degli americani. Un centinaio di pagine di storia raccontata dal vinto. Uno sconfitto che orgogliosamente rivendica di assumersi tutte le responsabilità di morti e nefandezze anche se i suoi fedelissimi ora lo hanno abbandonato. Perché lui dichiara senza timori che «È stato un grande leader».