Bianchini: "Sono innocente Mi hanno incastrato"
«Non confesso niente. La ragione è che non ho commesso quelle brutte cose. Sono innocente e neanche sotto tortura potrei ammettere d'essereresponsabile di violenza carnale. Mai e poi mai». Così, mi risponde Luca Bianchini, che visito per la seconda volta nel carcere di Regina Coeli, per verificare le sue condizioni, dopo che il test del Dna per la seconda volta sembra non dargli scampo. Avviandomi verso il settimo settore, reparto dei nuovi arrivi e dei detenuti in isolamento, immagino di trovare una persona afflitta, confusa, depressa, se non distrutta, dalla "prova regina". Al contrario, l'ex coordinatore del Pd della sezione del Torrino non arretra di un'acca dalla sua posizione difensiva, ribadendo la propria non-colpevolezza. «Se non ho fatto niente, perché dovrei inventarmi delle responsabilità che non ho?». Eppure, ti converrebbe - ribatto - e prima o poi, vedrai che te lo consiglieranno. «Possono aspettare anni. Neanche se mi ammazzano… Insomma, ho la coscienza d'essere stato incastrato, questo sì, non d'essere colpevole». Incastrato da chi e perché? «Non posso rispondere, riguarda il processo e la mia linea difensiva…» Questo ragazzo trentaduenne rischia una pena durissima, eppure non cerca scappatoie astute, dicendosi, anzi, sicuro che la giustizia gli darà ragione. Davanti a me, quasi la stessa persona del luglio scorso: tranquillo, determinato, stessi occhi con echi di verde scuro, un po' ingrassato, nonostante il volto smagrito, barba corvina ormai fluente - ma intende radersi, prima possibile, perché solo i glabri possono resistere alla calura umida ed appiccicaticcia. Questa volta, indossa una maglietta azzurra da tennista, pantaloni beige e scarpette sportive - la mamma gli ha fatto avere più di un cambio -, niente a che fare con l'aspetto trasandato della prima visita. «Mamma mi ha riempito di abiti nuovi, troppi, per chi sta in galera, ma va bene così, perché è un segno d'affetto», mi dice, alludendo al fatto che i genitori e il fratello gli sono rimasti sempre vicini. Sta ancora in isolamento, anche l'ora d'aria la trascorre in solitudine, benché si tratti, in realtà, non più di misura punitiva, bensì di tutela, perché nelle carceri non tutti i reati sono considerati alla stessa stregua e quelli di natura sessuale possono scatenare avversione, aggressività, disprezzo conclamato da parte degli altri detenuti. E qualche epiteto gli è già caduto addosso. Del resto, qualche insulto, via internet, me lo sono beccato anch'io dalla cosiddetta "società civile", che non gradisce le mie visite nelle patrie galere. Cambio discorso e gli chiedo dell'automobile. Possiede una Lancia Musa ancora sotto sequestro e oggetto di rilevamenti. Mi passano per la mente altre marche di auto venute fuori sui mass media e, poi, svanite nel nulla, ma non gli comunico i miei dubbi, proprio per non suggerirgli labili appigli o fomentare false speranze. E la fidanzata? Non si è fatta più viva e lui non ne ha notizia alcuna. Dei compagni di partito nessuna traccia, salvo Angelo Marroni, che, però, è il garante Pd per i detenuti del Lazio, ergo la visita è dovere e non significa necessariamente attenzione al compagno di partito. Come si mangia a Regina Coeli? Abbastanza bene: «Oggi, a pranzo, ho gradito la pasta, buono il pesce che credo fosse baccalà o stoccafisso e così l'insalata… Certo, c'è di meglio, ma qui c'è professionalità e siamo trattati con rispetto e civiltà…i pasti sono sempre discreti e abbondanti…» Gli chiedo delle altre fidanzate che ha avuto e se non ha nostalgia di qualcuna in particolare. «In tutto, ho avuto cinque ragazze, compresa l'ultima… ma la nostalgia mi assale soprattutto per la sesta, la donna che ho amato di più: la politica. Lei non può immaginare quanto mi manchi la politica attiva, fianco a fianco con tante brave persone che danno il fritto, perché ci credono, salvo, poi, rimanere deluse, quando i dirigenti che abbiamo concorso ad eleggere e, magari, a far vincere - penso a Prodi e al suo governo - si dimostrano incapaci, inconcludenti, miopi… se non peggio…» Lo lascio sfogare e, riferendosi al Pd, spesso ripete il sintagma «certi metodi stalinisti», che è un leit motiv, forse per esperienza personale. Alla fine, lo riporto alla sua drammatica situazione, dove non ci sono Prodi, D'Alema o Veltroni, per i quali, alle politiche del 2006, s'era impegnato fino allo stremo, ma la disperante prospettiva di venti anni dietro le sbarre. «Certo, il secondo test di raffronto del Dna per me è stata una botta in testa, ma vado avanti… Mi colpì anche il fatto che dopo trenta secondi dall'averlo effettuato l'esito dell'esame fosse già su tutti i mass media… Come si dice? Sbatti il mostro in prima pagina…» «Dimmi la verità, Luca, il mostro sei tu?» «Ti giuro di no… i miei avvocati stanno lavorando per restituirmi l'immagine di uomo e non di bestia…» «Almeno, ti rendi conto d'essere in un vicolo cieco?» «Certo che lo so, sembra che non ci sia via d'uscita, ma ne uscirò. Conto molto sul processo e sui giudici».