Quando Ciampi si indignò per lui
Gridòallo scandalo. Alla vergogna nazionale. Il caso finì su tutte le prime pagine. L'opposizione, allora come oggi di sinistra, ne fece immediatamente un caso politico e attaccò il governo reo di non fare nulla. Peggio: di mettere in fuga i cervelli migliori. Il caso di Ignazio Marino insomma non passò inosservato sette anni fa. Esplose forte e chiaro soprattutto sui media anche perché fu lo stesso chirurgo a «politicizzarlo» dal primo giorno. Nessun cenno a rimborsi gonfiati, alle contestazioni che provenivano dagli Stati Uniti. Tutt'altro. A settembre del 2002 si dimette e diffonde la lettera con cui dà l'addio: «Da alcuni mesi - scriveva nella missiva inviata al Consiglio d'amministrazione dell'Ismett ed ai vertici dell'Upmc - importanti ragioni di carattere personale non mi consentono di continuare a garantire quella totale dedizione al progetto che il ruolo direttivo richiede». «Assumo questa decisione - si leggeva ancora nella lettera - dopo aver a lungo considerato la situazione, consapevole ed orgoglioso di aver contribuito alla realizzazione ed al successo di questo importante progetto in sanità». Il tre gennaio Marino annuncia che sta facendo le valigie: «Non tornerò a lavorare in Italia. Almeno sino a che prevarrà la cultura del privilegio personale, sino a quando si creeranno ostacoli a chi sa far bene invece di cercare di far meglio, che poi è l'interesse del malato». Poi passa alle accuse e parla di «problemi tecnici nel raggiungere gli standard di sicurezza di affidabilità delle attrezzature». Poi ricorda che per assumere esperti informatici ha mandato «lettere ai docenti delle facoltà siciliane perché mi segnalassero gli allievi migliori, come si fa negli Stati Uniti. Ho inviato trenta lettere e mi sono arrivate tre risposte, ma di pura cortesia, senza alcun nome». Secondo il fondatore dell'Ismett «in Italia nella sanità prevale la voglia di coltivare il proprio orticello: si creano reparti per fare un primario, si parcellizzano tutte le responsabilità in modo che tutti comandino ma nessuno sia realmente responsabile, si lottizzano i posti letto». Marino sostiene invece che il modello americano funziona «per l'esclusività del rapporto di lavoro: ogni medico di università o ospedale americano non può svolgere attività privata e per questo riceve compensi adeguati. E per la multidisciplinarità». Parole che colpirono l'allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che intervenne subito da Napoli dove si trovava: «Mi è veramente dispiaciuto - disse il Capo dello Stato - apprendere di questa decisione del professor Marino, secondo quanto quanto riferiscono i giornali. Mi auguro che si creino le condizioni per un suo ripensamento». Ciampi ricordò di aver conosciuto personalmente il professor Marino in Sicilia mentre era impegnato proprio al centro trapianti di Palermo e di averlo incoraggiato. «Mi auguro - aggiunse - che si apra una prospettiva che gli permetta di rimanere in Italia, di continuare a dare il suo apporto al centro trapianti di Palermo che è una grande realtà ed è nato col progetto di farlo diventare il più grande del Mediterraneo». Sulle motivazioni, «burocratiche o di finanziamenti alla base della decisione del chirurgo» Ciampi precisò di non avere elementi. Ma ricordò che in Italia c'era e c'è un problema di finanziamento della Ricerca che riguarda gli aiuti pubblici ma anche gli investimenti privati. Subito si fece sentire Rosi Bindi: «Ci auguriamo che l'appello del presidente Ciampi venga accolto. L'appello non è diretto tanto a Marino, quanto ai governi comunale, regionale e nazionale di centrodestra. Con i governi di centrosinistra i cervelli sono tornati, con quelli di centrodestra sono andati via». Altrettanto fragore accompagnò Marino alla scaletta dell'aereo per gli States in quei primi giorni di gennaio. Il 10 il chirurgo era di nuovo in Italia, ad Aviano per un convegno. E puntualizzò: «Sicuramente il mio caso è stato montato come un caso personale, ma non ha alcun significato come tale». E ringraziò Ciampi. Dopo due anni e mezzo il professor Ignazio era già pronto a tornare in Italia. Destinazione: il Senato della Repubblica. F. d. O.